La dichiarazione di Vincenzo De Luca, secondo cui starebbe per approdare in Consiglio regionale un’iniziativa legislativa per consentire al presidente della Regione di svolgere un terzo mandato consecutivo, scuote l’albero più della noiosa campagna elettorale per le comunali della terza città d’Italia (già, siamo messi male). Tralasciamo in queste sede i profili tecnici, sui quali si potrà sempre tornare, e concentriamoci sulla ricaduta politico-istituzionale della proposta, se è vero che un editorialista di punta del Corriere della Sera come Ernesto Galli della Loggia si è preso la briga di abbandonare il dorato spazio di apertura del quotidiano nazionale su cui scrive per lanciarsi sul supplemento campano in un’intemerata contro De Luca.

Non si può ignorare il silenzio del suo partito, nazionale e locale, forse rassegnato dal precedente del presidente veneto Luca Zaia, eletto nel 2020 per il terzo mandato. Eppure il Partito democratico discende dai partiti che hanno ideato e voluto le elezioni dirette, prima del sindaco (1993), poi del presidente della Regione (1999). Di quel modello dovrebbero conoscere bene la logica interna e il delicatissimo equilibro.

Appena laureato, esordii a cavallo tra divulgazione e ricerca su una rivista dei primordi telematici con un’analisi critica dell’elezione diretta dei presidenti di Regione, appena varata. Riprendevo l’ispirazione della scuola napoletana che, a partire dal professore Michele Scudiero, ha sempre indicato nelle forme di governo a elezione diretta delle soluzioni squilibrate perché prive di pesi e contrappesi tipici dei presidenzialismi adottati all’estero sul piano nazionale. Ebbene, il principale, se non unico, argine posto alle elezioni dirette assistite da premi di maggioranza e dal legame indissolubile tra l’eletto alla carica monocratica e i Consigli, consiste proprio nel limite invalicabile del doppio mandato. All’eletto viene consentito in nome della stabilità di “fare il bello e il cattivo tempo”, ma poi ci dev’essere il ricambio. Nelle Regioni, poi, che sono livelli di governo politici ed enti di gestione finanziaria, un’eccesiva durata della carica è ancora più grave perché finisce per ingessare le dinamiche politiche e istituzionali. È qui che Galli della Loggia ravvisa l’arroganza locale di questi “unti” accompagnata indissolubilmente dal loro nanismo politico nazionale.

Nel Mezzogiorno gli eletti sono meno integrati nelle cordate di partiti e hanno poche speranze di continuare le proprie carriere con una proiezione nazionale in un meccanismo che alimenta distorsioni e frustrazioni. Fu Giuliano Amato, se non erro, a definirli cacicchi. Ma il problema è sistemico e si presenta con diversi guasti. Un’eccesso di permanenza al potere crea una torsione monocratica difficilmente sopportabile per quello che è già a stento definibile come un “modello”. Inoltre aggraverebbe la influenza negativa del presidente sui sistemi partitici locali i quali, come avviene anche con i sindaci, escono spesso stravolti, se non liquefatti, dalle interferenze dell’eletto che premia, blandisce o emargina, a seconda della necessità, amici o avversari. L’uso delle leve finanziarie rende le cariche governative elette i centri politici dei rispettivi sistemi, relativamente impermeabili alle influenze nazionali, perciò in frequente polemica con i leader nazionali, con effetti di decomposizione dei sistemi partitici e fomentazione del trasformismo del personale politico.

Queste tendenze, non ignote anche al Nord, sono per le ragioni che abbiamo indicato ben più vistose al Sud, dove è verosimile che costituiscano una delle primarie ragioni, se non la principale ragione, della mancata emersione di una classe politica autorevole dopo il 1993. I problemi politici si innestano su una questione giuridica complessa di cui la Corte costituzionale dovrebbe essere comunque investita al più presto. Spetta al Governo impugnare le leggi regionali che hanno finora consentito – e, in futuro, consentiranno – ai presidenti delle Regioni di restare in carica per più di due mandati consecutivi. Mario Draghi e Luciana Lamorgese, nelle rispettive competenze, dovrebbero pensarci, potendo fare affidamento anche su una super-esperta come Marta Cartabia.