In Italia si vota continuamente, per qualsiasi cosa, ma i candidati sono sempre gli stessi o, nella migliore delle ipotesi, provengono sempre dalle stesse famiglie e alla fine, dopo tutte le votazioni, non cambia quasi mai nulla da nessuna parte. Detto ciò, mentre ancora le Corti di Appello sono piene degli scatoloni e dei verbali delle elezioni politiche ed ancora non si è spento il clamore delle elezioni per il Csm, in questi giorni gli avvocati italiani affollano i tribunali per votare per il rinnovo della Cassa forense, elezioni per le quali dico subito di non aver votato e ne spiego le ragioni.

Sinceramente sono stufo di queste continue elezioni per enti ed organismi del tutto inutili e mi sento in forte, per non dire addirittura rancorosa, polemica con la cosiddetta politica forense che ormai, da diversi decenni, è diventata un vero e proprio, peraltro anch’esso inflazionatissimo, lavoro. Quello che rimprovero alla politica forense, soprattutto al Meridione, è di aver utilizzato l’abilitazione alla professione per fini clientelari determinando la dequalificazione del servizio reso alla collettività e l’impoverimento culturale ed economico dell’avvocatura nel suo complesso, creando una vera e propria bomba sociale che lo Stato sta cercando, per quanto possibile tardivamente, di riassorbire nelle pubbliche amministrazioni.

Devo aggiungere che una cosa sono i candidati con le loro liste e listine con  cui vengono prescelti i delegati alla Cassa e tutt’altra cosa è la Cassa istituzione che, come spesso accade anche in sede più propriamente politica, è assai migliore di chi la rappresenta e dirige, e che, secondo me, svolge una funzione per l’avvocatura assolutamente essenziale. Bisogna dire che, all’interno della sterminata ed eterogenea folla da cui è ormai composta l’avvocatura italiana, in questi anni la Cassa è stata spesso oggetto di attacchi e conflitti violentissimi che, per l’esperienza mia e di numerosi colleghi, non mi sento affatto di condividere. Molti avvocati vorrebbero l’abolizione dell’ente ed un suo assorbimento nell’Inps o che venisse istituito una sorta di reddito pensionistico a spese della collettività senza però versare i contributi, in pratica dato che (spesso) guadagnano poco vorrebbero la pensione gratis e la vorrebbero pure di importo più elevato del loro precedente reddito da lavoro.

Del resto se si è fatto in questo modo per il reddito di cittadinanza e non si vede perché non possa farsi la stessa cosa anche per l’avvocatura. Anzi è davvero strano che ancora nessun partito ci abbia pensato, 250mila avvocati con le relative famiglie più tutti coloro che in un modo o nell’altro ruotano attorno a questo universo sarebbero un boccone elettorale davvero grosso ma diamo tempo al tempo. Del resto che i Palazzi di Giustizia servano principalmente a distribuire reddito lo scrisse anche Kafka cento anni fa: perché oggi, e soprattutto a queste latitudini, dovrebbe essere diverso? La Cassa, la cui fondazione risale, sia pur sotto diverso nome, al 1933 costa, e costa non poco. Per erogare i suoi servizi non può non avere i suoi costi di gestione e magari anche le sue immancabili distorsioni, inoltre oltre alle pensioni eroga una serie di servizi agli iscritti, alle loro famiglie e ai superstiti e quel che paghiamo di contributi è certamente assai meno di quanto pagano all’Inps le altre categorie di lavoratori.

Tutti i lavoratori godono di una serie di protezioni che gli avvocati non hanno e che la Cassa bene o male cerca di fornire, a questo si aggiungono varie convenzioni che permettono agli iscritti di accedere a determinati servizi a costi contenuti. Alcuni anni fa sono stato vittima di un grave incidente che mi costrinse ad un periodo di inattività e, grazie alla Cassa, ho potuto godere di assistenza sanitaria di altissima qualità; la stessa cosa è accaduta ad un mio amico collega e alla moglie di un altro collega, insomma la Cassa protegge e mi ha protetto. La verità è che molti, per loro colpevole ignoranza, non conoscono neppure i servizi che eroga la Cassa e che – ed è il problema più grave – non sono in condizione di pagare neppure i contributi minimi.

D’altra parte proprio i contributi minimi che, ripeto, minimi non sono affatto, forse rappresentano un crudele argine contro iscrizioni che inflazionerebbero ancora di più l’albo creando ulteriore sovraffollamento, degrado e sottoccupazione. Né si può pretendere di ricevere una pensione elevata se i contributi versati sono stati bassi, mentre quelle che trovo insostenibilmente elevate sono le età per accedere al pensionamento e infatti mentre a 70 anni alcuni avvocati sono in piena attività altri finiscono fuori mercato. Il lavoro dell’avvocato si fa molto con le gambe ma non  tutte le gambe sono uguali. In sintesi, tutto è perfettibile: la Cassa va bene e andrebbe meglio se ci fosse meno politica ma in Italia questa sembra davvero una chimera.