Con le elezioni del 25 settembre entrerà in vigore la (sciagurata) riforma costituzionale che ha portato ad una rilevante riduzione del numero dei parlamentari, all’incirca di un terzo della rappresentanza. Di conseguenza è stato necessario anche rivedere i collegi. È certo che la rappresentanza sarà destinata per diverse ragioni che saranno descritte nelle righe successive ad essere significativamente diversa da quella attuale, anche a prescindere dalle decisioni dei partiti sulla ricandidatura o meno degli uscenti, che già di per sé richiederà un deciso sfoltimento. Nelle precedenti elezioni la Campania aveva diritto complessivamente, per le due camere, a 33 collegi uninominali – una sfida diretta dove il primo verrà eletto – e 9 plurinominali, la parte proporzionale, dove conteranno maggiormente i simboli dei partiti. Ora saranno rispettivamente 21 e 6, con una perdita netta di 15 seggi, di cui 12 nella parte uninominale e 3 nella parte plurinominale.

Nel 2018 in questi collegi la Campania elesse 89 parlamentari mentre ora gli eletti saranno soltanto 56: 38 alla Camera dei deputati e 18 al Senato della Repubblica. Ci saranno pertanto ben 33 parlamentari in meno a rappresentare la regione. Nello specifico dei diciotto seggi senatoriali 11 saranno in collegi plurinominali (cioè nella parte proporzionale) e 7 in collegi uninominali senatoriali: 4 napoletani e 3 riguardanti il resto della regione. Dei 38 seggi invece spettanti alla Camera dei deputati, poco più del doppio del Senato, 20, saranno distribuiti nella circoscrizione n. 1 (il napoletano), di cui 13 assegnati nei collegi plurinominali, e 18 nella circoscrizione n. 2 (il resto della Campania, di cui uno assegnato con i resti nella parte uninominale maggioritaria), di cui 11 assegnati nei collegi plurinominali. Entrambe le circoscrizioni avranno pertanto sette collegi uninominali.

Quanto alla dimensione dei collegi, i collegi uninominali alla Camera dei deputati saranno attorno ai 400mila abitanti (circa cinque volte quelli del Mattarellum del 1993, in uso fino al 2001): dai 379mila del collegio di Somma Vesuviana ai 489mila del collegio Napoli-San Carlo all’Arena. Quelli al Senato oscilleranno tra i 650mila del collegio acerrano, a cavallo tra le province di Napoli e Salerno e i 962mila abitanti del collegio che comprende l’intera città di Napoli. Le necessità di accorpare i collegi accentua una caratteristica della legge elettorale già precedente alla riduzione del numero dei parlamentari, ovvero il frequente scavalcamento dei confini provinciali, di cui sono esempio il fatto che la Costiera amalfitana fa parte di un collegio napoletano o l’accentuazione del fenomeno di fusione tra il beneventano e l’avellinese, dove però la parte del leone la fa il primo. L’enormità dei collegi e il rispetto solo relativo dei confini provinciali determinano da un lato l’allentamento oggettivo del rapporto tra rappresentanti e rappresentati, dall’altro potrebbe far preferire candidati del territorio prevalente nel collegio deprimendo le istanze delle restanti porzioni del territorio.

Sul piano dei risultati le elezioni difficilmente saranno più squilibrate delle precedenti, dove dei 33 collegi uninominali soltanto uno non venne vinto dal Movimento Cinque Stelle che, ovviamente andò sbancò anche e innanzitutto nella parte proporzionale, tanto che alla fine ebbe ben 60 parlamentari sugli 89 allora da eleggere (un rapporto di due su tre). Vedremo presto chi saranno i 56 da eleggere a questo giro. Ma il risultato del 2018 fu determinato da una valanga di voti trainati dalle liste, quindi dal proporzionale, che portò a non tenere in alcuna considerazione la qualità dei candidati, soprattutto dell’uninominale. Ora potrebbe essere diverso. Va ricordato che una specificità di questa legge elettorale è la connessione tra maggioritario e proporzionale: se tengo ad un candidato nel collegio uninominale, il mio secondo voto potrà andare solo ad una delle liste collegate nella parte proporzionale, e viceversa. Su questi aspetti torneremo.