Le dimissioni del Presidente Draghi dispiegano i suoi effetti su ogni piano. L’esito altamente incerto della crisi richiede di formulare giudizi prudenti e interlocutori. Tuttavia, vi sono alcuni risvolti che si possono dare per acquisiti. E non sono poca cosa. Ci riferiamo in particolare all’effetto “tsunami” che la crisi – si badi: comunque andrà – produce sulle strategie dei partiti. Nei sistemi politici i partiti si guardano a vicenda e adattano le proprie strategie in base a quelle degli altri. Lo scontro aperto da Conte ha messo in ambasce il Partito Democratico.

La strategia portata avanti negli ultimi dieci anni, con l’eccezione dei triennio renziano, ovverosia i cinque stelle costola della sinistra, non esiste più. Comunque andrà nella migliore delle ipotesi in Campania gli alleati del partito non saranno loro ma semmai il neo-partito di Di Maio e qualche prossimo transfuga che in queste ore si presenta come l’ennesima versione dei “responsabili”. Il che vuol dire, a pensarci bene, che il Presidente Fico, da sempre ritenuto un amico della sinistra, da cui proviene, non potrà essere più il riferimento campano dell’operazione volta a comporre l’offerta politica per le prossime elezioni.

Inoltre la Campania è il granaio dei Cinque Stelle, che qui hanno colto percentuali superiori al 40% alle scorse elezioni. Dove andranno a finire tutti questi voti? A qualche spezzone dei Cinque Stelle che furono? Alla destra? Nell’astensione, tanto per cambiare? È bene sapere che la legge elettorale attuale, che ben difficilmente sarà cambiata, è un rompicapo. Mette in connessione la parte proporzionale con i collegi uninominali in modo che il voto su un piano si trasferisce anche sull’altro, e prevede sbarramenti differenziati all’interno delle coalizioni e modalità di riparto dei resti molto particolari. Con una legge così, la crisi di governo attuale determina un effetto “salto nel buio”. Quando era quasi tutto pronto, il “campo largo” – un azzardo privo di piano B – non c’è più. È letteralmente tutto da rifare, soprattutto a sinistra. Ma anche la destra – in Campania un oggetto misterioso – risentirà degli effetti della crisi, soprattutto se Draghi resterà in sella.

Con la riduzione dei parlamentari di un terzo dalla prossima legislatura già molti uscenti avrebbero rischiato il posto, figuriamoci oggi, in un momento in cui molto semplicemente il centro-sinistra non appare più minimamente competitivo e completamente da ricostruire. Di qui un nervosismo quasi palpabile. Le esternazioni caustiche di De Luca delle ore scorse, pur non del tutto inedite, segnano per veemenza e irrisione un culmine mai toccato prima. A pochi giorni dall’arrivo del neo-commissario non un buon segnale. L’ingresso dei Cinque Stelle in Giunta regionale, sollecitato da Boccia ancora qualche giorno fa, appare oggi fantascienza. Il “partito unico” proposto dallo stesso De Luca con Di Maio in Campania (quando però era ancora nei Cinque Stelle) potrà riproporsi solo come accordo di potere. Piero De Luca, il figlio del Presidente, va a parlare in televisione della necessità di evitare la crisi mentre il partito di Fico e Conte la produce.

Il sindaco Manfredi firma, come è inevitabile, la lettera dei mille sindaci per la stabilità, e marca una distanza dai Cinque Stelle e da Conte, che ha sempre provato ad accreditarsi come il suo mentore, che oggi appare incolmabile. Tra qualche giorno misureremo gli esiti della crisi, anche sul piano dei programmi di governo e delle agende. Per oggi è ben evidente che una crisi politicista, che poco ha a che vedere con le politiche, ha prodotto effetti che proprio in Campania sono dirompenti. Si potrebbe farla breve pronosticando che la destra vincerà a man bassa, a partire dai collegi, ma lo smottamento che si è messo in atto non lascia indenne nessuno.