A che punto siamo con la crisi di governo a poche ora dal discorso di Draghi alla Camere? La risposta più onesta da dare è 1-X-2, cioè tutto è possibile, nulla è scontato. Il che di per sé, dopo i cinque giorni di tempo che il Presidente Mattarella e il premier Draghi hanno dato al Parlamento per schiarirsi le idee se andare avanti o meno alle condizioni però di Draghi, non depone a favore di nessuno dei protagonisti della scena politica. A meno che non siano alla fine, sotto sotto, tutti favorevoli ad andare al voto e non pensarci più. Anche questa, ovviamente, una soluzione legittima.

All’ora di pranzo la crisi sembrava volgere verso la soluzione. Tra mal di pancia e non detti tirare avanti ancora qualche mese con Draghi premier, Conte e Movimento fuori “sostituiti” dai governisti con Crippa e D’Incà e un rimpastino – almeno due ministeri da rimpiazzare – per premiare centrodestra di governo e centristi. All’ora di pranzo, mentre Berlusconi, Salvini, Lupi, Cesa e capigruppo erano riuniti a pranzo a villa Grande, residenza romana di Silvio Berlusconi, si materializza una nuova occasione di contesa. Il fatto in realtà è accaduto la mattina intorno alle 9 – il segretario del Pd Enrico Letta è stato visto entrare e poi uscire da palazzo Chigi – ma solo alle 14 diventa una bomba ad orologeria. Quando qualche bene informato suggerisce al desco di villa Grande che “Letta sarebbe andato a spiegare a Draghi che forse riescono a riportare dentro Conte e il Movimento”. Nessuno conferma. Nessuno smentisce. Resta che Draghi ha incontrato Letta e poi è salito al Quirinale.

Inoltre, in parallelo a questa notizia, comincia a girare che “il fatto politico nuovo”, cioè la scissione di Crippa con una trentina di deputati e pochi senatori, “sta rallentando e rischia di non andare in porto”. E così a sera dalla riunione del centrodestra (ancora in corso alle 19) salgono nuovi minacciosi segnali di fumo: “Perché Draghi ha incontrato il segretario del Pd?”; “Cosa stanno tramando?”, “Letta cerca di recuperare Conte…”. E allora sapete cosa c’è: “Il centrodestra di governo può anche votare la fiducia ma almeno due ministri sono inadatti a proseguire, Lamorgese e Speranza…”. Chiederne la sostituzione, anche solo provarci, vuole imboccare il precipizio verso la crisi di governo. La più “al buio” che si possa ricordare tra i 72 governi della storia della Repubblica. Ovvio destino di una legislatura, la 18esima, che resterà nei libri di storia per i numerosi esempi di situazioni inedite e incresciose.

In serata comunque Draghi riceve a palazzo Chigi anche Salvini, Tajani, Cesa e Lupi. “E che problema c’è – era filtrato in giornata dalla sede del governo – in questi 571 giorni il presidente Draghi ha ricevuto tutti coloro che lo hanno chiesto in base alla disponibilità dell’agenda. Letta lo ha chiesto ieri sera ed è venuto stamani. Se lo chiederanno Salvini e Tajani, c’è posto anche per loro. come sempre”. Non resta che aspettare oggi. Draghi parlerà alle 9.30 al Senato, seguiranno cinque ore di dibattito (o forse meno) a cui seguirà la replica del premier. In questo frattempo la maggioranza (di quanti e di chi ancora non si sa) dovrebbe presentare la risoluzione su cui sarà chiesta la fiducia. Il professor Ceccanti, costituzionalista e deputato Pd, suggerisce la formula più sicura, la vecchia formula “la Camera, ascoltate le comunicazioni del presidente del Consigli le approva”. Una parola in più potrebbe risultare destabilizzante vista la situazione. A quel punto è prevista la replica di Draghi e la votazione nominale, cioè ciascun senatore dovrà passare sotto il banco della Presidenza ed esprimere il suo voto. Ciascuno ci dovrà cioè mettere la faccia. Si narra che Draghi abbia in tasca due discorsi: uno di rottura e uno per dire “si, resto, ma alle mie condizioni” che devono valere per tutti, per Conte ma anche per Salvini.

Non ne avrebbe un terzo, in tasca. Comunque non c’è dubbio che oggi la giornata sarà tutta da ascoltare e da vivere minuto dopo minuto. Perché esiste anche l’opzione che ascoltati tutti gli interventi Draghi decida di non procedere neppure al voto e di salire al Colle per rassegnare dimissioni questa volta “irrevocabili”. Difficile perché in questo caso sarebbe Draghi ad intestarsi, davanti agli italiani che gli chiedono di restare e alle cancellerie occidentali in pressing da giorni, una crisi che Lega e 5 Stelle, per restare alla maggioranza, hanno cercato con cura giorno dopo giorno. I cinque giorni che il Capo dello Stato ha chiesto al Presidente del Consiglio per “parlamentarizzare la crisi” e dunque chiarire meglio le posizioni di ciascuno, sono stati un disastro. E quello che doveva essere il tempo dell’assunzione di responsabilità, della “maturazione e dell’uscita dall’adolescenza” come direbbero i sociologi, è diventato il tempo delle tattiche e delle pretattiche. Con cui di certo non si risolvono i tanti problemi del Paese.

Ieri mattina, fino all’ora di pranzo appunto, è sembrato prevalere il buon senso e la ragion di Stato. Soprattutto internazionale. Per Draghi, si spiegava, sarà prevalente non tradire la fiducia, e il proprio standing, in un momento delicatissimo in cui si decidono dossier delicatissimi. Ieri Putin è stato in Iran con Erdogan e sembra più vicina l’intesa per sbloccare le riserve di grano ucraino ferme nei silos e nei porti. Potrebbe, dovrebbe, essere il primo tassello di una prossima trattativa di pace. È noto quanto Draghi abbia seguito questo dossier fin da maggio. Domani, inoltre, la Bce farà salire i tassi dopo undici anni di fermo e al tempo stesso Lagarde dovrà spiegare le modalità dello scudo antispread. Decisioni di politica monetaria che hanno visto in questi mesi Draghi protagonista, a volte critico, seppur dietro le quinte. Il fatto è che le democrazie occidentali non vogliono rinunciare alla figura di Draghi alla guida dell’Italia. Questo è certamente il richiamo a cui il premier ha dato più ascolto in questi giorni. Motivo per cui all’ora di pranzo si propendeva per una soluzione “di continuità” alla crisi di governo. Un Draghi 1 con qualche rimpasto.

All’ora di pranzo, come si diceva, cambia di nuovo tutto. La salita al Colle di Draghi viene registrata quasi come “un atto dovuto”. Che non sposta il bilancino della crisi. Cosa che invece fa la visita di Letta che ha portato al premier spiragli sul fatto che Conte i 5 Stelle possano alla fine votare la fiducia. Il centrodestra di governo picchia i pugni sul tavolo: se così fosse, sarebbero loro e non più Draghi a doversi rimangiare la promessa: mai più al governo con i 5 Stelle. Draghi aveva detto: “Mai un Draghi bis, mai senza i 5 Stelle”. Gli osservatori della crisi restano colpiti dal fatto che l’incontro Letta-Draghi sia stato reso pubblico. Se il Presidente del consiglio deve avere un incontro segreto ha mille modi per farlo. E allora perché questa pubblicità? Di sicuro il segretario dem, dall’inizio della crisi nel mirino del centrodestra perché “il campo largo è diventato il campo santo e non sapendo con chi allearsi non vuole il voto anticipato”, con questa mossa ieri è riuscito in modo abbastanza plateale a puntare i fari della crisi sul centrodestra e a toglierli dal Movimento e da Conte. Dal punto di vista del Nazareno una buona mossa: se Conte dovesse rientrare, sarebbe il centrodestra ad assumersi la responsabilità della crisi. Salvini e Berlusconi a decidere: basta, andiamo a votare. Per consegnarsi, però, a Giorgia Meloni.

In questo frattempo Conte e il Movimento sono in parte usciti di scena. Anche questa è tattica. L’ex premier ha avuto un’indigestione e ha fatto una notte (tra domenica e lunedì) in ospedale. Nei fatti ha aperto venerdì scorso un’assemblea di parlamentari e organi direttivi che è stata continuamente aggiornata ma mai chiusa. Ancora ieri sera il Movimento, di nuovo riunito, non aveva deciso cosa fare oggi. Certo, le posizioni sono chiare e assai nette: i senatori vogliono uscire dalla maggioranza e votare contro; i deputati sono divisi. Anche la non decisione è tattica, così come tenere appese le persone per non farle decidere. Il risultato è che “il fatto politico nuovo”, cioè la lista con i nomi dei deputati che votano la fiducia a Draghi e che andrebbe nei fatti a “sostituire” il Movimento in maggioranza, ieri si è inceppata. “Inutile – è il ragionamento dei grillini pro-Draghi – decidere ora se gli altri non hanno ancora deciso.

Inutile annunciare l’uscita se poi anche gli altri voteranno la fiducia”. Un pasticcio megalattico. In questi giorni in assemblea sono volati insulti e minacce. Comunque vada, Conte è destinato a subire un’altra scissione: o se vanno i senatori o se ne vanno Crippa e un gruppetto di 20-30 persone. La delegazione del centrodestra di governo ieri sera ha incontrato Draghi per circa un’ora. Bocche cucite all’uscita. Il vertice del centrodestra è proseguito a Villa Grande. Il barometro in serata è tornato verso il sereno, cioè verso la soluzione della crisi. Tra oggi e domani (il voto alla Camera è stato spostato a giovedì ma quello che conta è il Senato) saranno decise le regole d’ingaggio. Pronte a saltare alla prima curva stretta. Cioè al prossimo voto di fiducia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.