Scandalo a New York dove il secondo sindaco nero della metropoli, Eric Adams, ha subito una spettacolare perquisizione e un devastante rinvio a giudizio per un’imbarazzante storia di regali, alberghi gratuiti, voli in prima classe gentilmente offerti dalla Turchia, per accelerare la costruzione del nuovo consolato. I giornali aprono sul sindaco Adams e l’ex governatore Andrew Cuomo si prepara alla successione, ma in realtà New York è in questi giorni la capitale del mondo perché si stanno svolgendo gli incontri più importanti e segreti per il futuro del mondo intero.

Anche il borsino elettorale è incerto: Trump guadagna qua e là ma a macchia di leopardo. La partita più importante, però, si giuoca sul fronte della guerra europea e in secondo piano anche quella del Medio Oriente, dove per ora non esistono margini di manovra per alcuna forma di accordo. Ma per l’Ucraina e la questione delle possibili trattative di pace, sì. Zelensky è arrivato e incontra tutti, così come il presidente francese Emmanuel Macron sui fronti delle guerre e della pace. Oggi negli Stati Uniti il potere politico è tenue quando una amministrazione va in scadenza e le elezioni sono in arrivo: il presidente in carica Joe Biden anche se seguiterà ad abitare a White House fino al 20 gennaio conta pochissimo e non può impegnare oggi la politica di chi verrà dopo di lui.

Kamala Harris, non può fare due mestieri, uno alla Casa Bianca come numero due e uno nei comizi come aspirante numero uno, e dunque quando parla lo fa a titolo personale. Ma tutta la sua immagine politica è tuttora in attesa di definizione. Lei lo ha teorizzato: non parla di programmi neanche sotto tortura. In compenso, sorride. Donald Trump invece mena botte da orbi come piace ai suoi elettori, che però – salvo quelli che indossano il berretto rosso con la scritta Maga – non si sa bene cosa pensino. È un paradosso americano senza precedenti. Trump ha incontrato il presidente ucraino Volodimir Zelensky nella sua reggia dorata sulla Fifth Avenue, la Trump Tower, arrivato per sottoporre il suo “piano per la vittoria” sia a Trump che alla Harris. Dell’incontro si sa che sarebbe stato tempestoso, ma accettabile. Trump non era di buon umore quando ha ripetuto per la centesima volta davanti ai microfoni: “Metterò d’accordo il presidente Putin e il presidente Zelensky”. Il che vuol dire che non intende concedere alcuna prospettiva di vittoria all’Ucraina ma solo costringerla a un accordo, dunque a una mutilazione del suo territorio e alla perdita della sua sovranità ed indipendenza.

Zelensky aveva mandato in bestia Trump per aver visitato la Pennsylvania, che è uno dei cinque Stati in bilico e il suo staff l’aveva considerata una provocazione. Il solo fatto che Trump abbia ammesso al suo cospetto il maggior nemico di Putin è una svolta. Putin, del resto, da trumpiano che era ha fatto qualche settimana fa un vero endorsement per Kamala Harris, la quale lo odia. Zelensky era già corso alla Casa Bianca per rendere omaggio a Joe Biden e alla stessa Harris, intesa come vicepresidente e non come candidata. Elon Musk, proprietario di “X” (ex Twitter), industriale automobilistico e spaziale invaghito di Trump che sostiene con parsimonia, ha pensato di dover smentire l’insinuazione del giornalista scientifico Simon Goddek: lo aveva descritto folgorato da Giorgia Meloni seduta al tavolo accanto al suo durante il gran Gala in cui lei ha ricevuto il Global Citizen Award 2024: “Ero là con la mia mamma”, ha detto pubblicamente Musk “e non flirtavo con la Meloni”. New York City è in questi giorni la capitale planetaria della politica e dell’immaginario, della pace e della guerra, del pettegolezzo e della storia.

A poche settimane dalle elezioni il confronto fra i candidati diventa sempre più spettacolare e meno politico ma, quanto a leadership da prefissi telefonici, il campo democratico è in subbuglio: i suoi elettori – a differenza dei Repubblicani ormai inclini alla monarchia assoluta – si dividono in una ventina di diverse sfumature che vanno da un marxismo onirico alla Bernie Sanders, alle visioni liberali moderate e un po’ furbastre della stessa Harris, nota per non essersi mai resa nota per una netta posizione politica quale che fosse. È pragmatica, va bene, ma chi lo conosce il suo pragmatismo? È in linea con l’atlantismo ma non si sa che idee abbia su come debba concludersi la guerra ucraina. Armi lunghe come vorrebbero francesi e inglesi, o solo corte come dice Biden?

Kamala Harris è nel mirino dei media liberal per la sua posizione filo Hamas, più che filopalestinese, durante le giornate dei cortei universitari ed anche per la totale assenza di una sia pur vaga idea di programma: si pubblicano lettere degli elettori che chiedono cosa intenda fare delle tasse, dello sviluppo economico e dei rapporti con la Cina, come li vede? La Harris ha trovato questo suo nuovo personaggio sorridente di regola sempre dal parrucchiere e che dice delle battute infauste, come quella di avere una pistola e di essere pronta a fare secco chiunque entri in casa sua senza permesso. E poi ha chiesto con aria puerile svagata: non dovevo dirlo? Avrei dovuto star zitta? Sì, avrebbe dovuto star zitta perché ha fatto un danno ma non lo capisce.

L’America è il paese delle contorsioni, dei ripensamenti, e adesso ferve il dibattito su che razza di errore sia stato quello del 1994 quando gli Stati Uniti, insieme a Regno Unito, Francia e Federazione russa imposero all’Ucraina di spogliarsi del suo arsenale nucleare. L’accordo è passato alla Storia come “Trattato di Budapest”, perché fu lì che la rinuncia Ucraina alle bombe atomiche diventò un documento scritto e impegnativo. E così fu: l’Ucraina che era trapuntata di testate nucleari sovietiche, rinunciò a Satana e restituì tutto alla Russia e lo fece nei primi anni 2000 quando già tirava aria di tempesta sul Donetsk e sulla Crimea. Ma negli anni Novanta americani, inglesi, francesi erano molto contenti di compiacere prima Boris Yeltsin e poi il nuovo Presidente che tutti consideravano il miglior pulcino della vecchia chioccia sovietica, malgrado fosse un colonnello del Kgb, dal temperamento egocentrico con le sue cavalcate a dorso nudo e il cappello da cowboy, o pilotando aerei o sparando ai cervi che cercano erba nella neve. Ma fu quello il momento in cui l’Occidente intimò all’Ucraina di disfarsi delle armi per non impensierire la Russia. Ma appena l’Ucraina fu disarmata, Vladimir Vladimirovic cominciò a mangiarsela foglia dopo foglia. La guerra ora è a una svolta, ma onestamente nessuno sa quale svolta sia.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.