Gubbio è la «città dei matti», dice la tradizione. Chi fa tre volte il giro della fontana al centro della città, versando un obolo, può ritirare la patente di «matto», su pergamena. Una simpatica usanza alla quale i deputati del Pd riuniti lì per due giorni si sono sottratti. La segretaria Elly Schlein che era attesa giovedì si è sottratta anche al primo giorno dell’incontro, e proprio perché impegnata a parlare – e il tema è serio – di disagio mentale. «Ero alla proiezione di un film sul settore della psichiatria, in affanno come altri della sanità», dice Schlein appena arrivata, alle 11 di ieri mattina. La sensazione è che di prendere parte al conclave avesse, alla fine, scarsa voglia. Rimarrà poche ore: alle 16 è già tutto finito. Lei in macchina, i deputati sul pullman, tutti verso Roma. La due giorni si è asciugata, ha riguardato sedici ore di lavoro divise tra panel di esperti e dibattito plenario, con una ventina di deputati che si sono alternati ai microfoni. Schlein affida ai giornalisti il suo cahier de doléances: «Dalla sanità, ai migranti, al fisco e il mancato ok al salario minimo, all’autonomia di Calderoli, che non è autonomia ma un tentativo di secessione», tutto del governo Meloni è da bocciare. «Meloni si dimostra peggio di Berlusconi», il giudizio lapidario consegnato al suo ingresso al seminario.

Schelin e lo scivolone su Israele: “Evitare invio di armi utilizzate per crimini guerra”

Dentro, l’intervento della leader Dem è tutto sul nuovo tratto identitario – che adesso nel Pd si chiama ‘riformismo radicale’, con un ossimoro – tratteggiato da lampi ora nostalgici, ora movimentisti. «Dobbiamo porci la questione di evitare di alimentare i conflitti, di evitare l’invio di armi e l’esportazione di armi verso i conflitti, verso il conflitto in Medio Oriente, in particolare in questo caso ad Israele. Perché non si può rischiare che le armi vengano utilizzate per commettere quelli che si possono configurare come crimini di guerra», sentenzia Schlein. Andando oltre il Sud Africa nelle accuse a Israele, di cui bolla le attività militari come «Crimini di guerra», sic et simpliciter. Si allinea così ai giudizi del vasto fronte anti-occidentale che condanna Israele a prescindere, senza tenere conto dei fatti e delle circostanze, anticipando il verdetto de L’Aja. E non solo: nessuno, tra i presenti, si premura di informarla che l’Italia importa sistemi d’arma da Israele, più che esportarli.

Schlein e il nodo europee: candidatura si o no?

La segretaria è lanciata. E al disarmo accompagna l’antifascismo da Instagram, a commento della foto di Acca Larentia. «Porteremo avanti in Parlamento la nostra proposta di legge per chiarire la disciplina per chi esalta le personalità, i metodi e i simboli del fascismo», ha detto citando la sentenza della Cassazione sul saluto romano nelle cerimonie funebri. Sarà che si avvicina il 21 gennaio, ma sembra il congresso del Pci di Livorno. Ne parlerà nel confronto televisivo con Giorgia Meloni? Probabilmente sì, ma le bocche sull’argomento sono cucite. Le donne del Pd, se lo si domanda singolarmente, preferirebbero che Schlein non si candidasse in Europa. Altri sì, la incoraggiano. Anzi vorrebbero proprio che si dedicasse all’Europarlamento, magari andando a stare a Bruxelles qualche anno. Non è Todo modo, il conclave dem, ma nei corridoi corrono le voci. L’incastro tra le correnti scricchiola. Le preferenze uomo-donna per le liste vanno fatti col bilancino. I big che hanno disertato, ci viene detto, non sono un segnale: «Qui era aperto ai soli deputati, non ai senatori». E le regionali? «Oggi non si parla di quello».

Niente che passerà alla storia, dallo scambio di idee del seminario. E perfino poco per la cronaca. È toccato a Roberto Morassut scaldare gli animi: «Dobbiamo entrare nel “ventre del diavolo” e separare quel che a destra è “dialogabile” e quel che non lo è; per dividere la destra». Ad esempio? «Radicare la sinistra e dargli forza nel popolo con un riformismo radicale sulla giustizia sociale, il fisco in primo luogo, che chiarisca con chi stiamo e contro chi stiamo. Dire No all’autonomia differenziata. No alla revisione dei principi della Costituzione, ma sì all’elezione diretta del Presidente della Repubblica nella forma del modello francese». Andrea Casu si concentra sull’agenda da qui alle Europee. Paolo Ciani e Valentina Ghio parlano di «patto tra generi e generazioni». Parla il commissario europeo per il lavoro e gli affari sociali, Nicholas Schmit. Applausi, poi giovedì sono andati tutti a cena. Sobria: Risotto e tacchino. La Spa dell’hotel è chiusa, e i deputati che non stanno al telefono si trovano nella lobby per un ultimo bicchiere. La sera, confida Nico Stumpo, «abbiamo giocato a biliardo, io e Carè contro Ricciardi e Mancini. Abbiamo vinto noi. Poi Mancini e De Maria hanno giocato anche a scacchi: tutti e due molto bravi». Ma la Schlein alle Europee si candida o no? «Manca ancora tempo, è presto per dirlo», rispondono in coro.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.