Quanto possa essere devastante un virus per la salute delle persone e per l’economia delle nazioni l’abbiamo visto con la pandemia da SARS-CoV2: milioni di morti e trilioni di perdite, non dimenticando la “pandemia mentale” che ha interessato tutti e danneggiato soprattutto le nuove generazioni.
Alcuni avevano pensato che questa “lezione” sarebbe stata appresa e si sarebbero attivate tutte le misure per fare del Covid 19 l’ultima pandemia della storia.

In realtà, neanche i più pessimisti avrebbero potuto immaginare che si sarebbe verificato ciò che sta succedendo, nel tipico alternarsi del “panic and neglect” che caratterizza la natura delle reazioni umane: mi spavento ma poi dimentico rapidamente e ricomincio daccapo. Non solo non si sta facendo nulla di tutto quanto raccomandato dai rapporti dei massimi esperti mondiali del settore (per cui l’arrivo della prossima pandemia non è una questione di “se” ma solo di “quando”), ma addirittura in Italia si stanno minando le radici della più grande opera pubblica del Paese, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che non solo ci proteggerebbe dalle prossime, certe, crisi epidemiche, ma garantirebbe la tutela di un elemento essenziale per lo sviluppo e la prosperità economica e sociale, la salute, che peraltro da noi è considerata un diritto costituzionalmente garantito.

Numeri impietosi 

Non è facile descrivere sinteticamente la tragedia della involuzione del SSN e dei danni che questo sta già apportando alla vita dei cittadini, ma ci proverò con l’aiuto di alcuni numeri riferiti agli elementi costitutivi di un sistema sanitario: i soldi stanziati, le strutture e il personale sanitario, la popolazione di riferimento, le modalità di gestione. Per quanto riguarda i soldi siamo ormai gli ultimi tra i Paesi del G7 e tra gli ultimi dei Paesi dell’OCSE. Per dare un’idea dell’abisso che ormai ci separa dagli altri paesi sviluppati basta dire che la spesa sanitaria pro capite è inferiore a 3.000 euro l’anno a fronte dei 7.300 euro della Germania e dei 6.115 della Francia (fonte KFF Health System Tracker).
A fronte di investimenti così esigui le strutture e il personale sanitario sono spaventosamente inadeguati.

Posti letto cercasi

Negli ultimi venti anni siamo passati da 770 a 516 ospedali pubblici e il numero dei posti letto ogni 1000 abitanti è passato dai 5,8 del 1998 ai 3,1 del 2022 (la Germania ne ha 8, la Francia 5) determinando l’impossibilità di ricoverare tempestivamente una popolazione che, come vedremo, è sempre più vecchia e malata. Per non dimenticare che gli ospedali pubblici italiani sono tra i più vecchi e obsoleti d’Europa, con il 60% delle strutture che ha più di 40 anni e con la metà di dimensioni troppo piccole, con conseguenti problemi di sicurezza e di scarsa efficienza.
Non meraviglia perciò la permanenza dei pazienti per giorni nelle barelle dei Pronto Soccorso o le liste d’attesa chilometriche per avere un ricovero.
Ma il dato più impressionante riguarda il personale: abbiamo 97,4 operatori sanitari per 10.000 abitanti (37,7 operatori in meno rispetto all’Austria, considerata best performer in Europa). Tale valore si è ridotto nell’ultimo decennio a causa del blocco del turnover generalizzato, in modo particolare nelle Regioni in Piano di rientro, del contenimento delle assunzioni e dell’imbuto formativo causato dall’esiguo numero di borse di specializzazione per i neolaureati.

Personale sanitario ‘anziano’

A tale scenario si aggiunge l’incremento dell’età media del personale sanitario. L’Italia detiene il primato dei medici nella fascia d’età 55-64 anni, con il 53,3% dei medici over 55 a fronte di un valore OCSE del 34%.
Quindi pochi operatori, anziani, e per giunta demotivati e mal pagati: sono stati gli unici in Europa a perdere potere d’acquisto negli ultimi anni e ciò determina una massiccia migrazione professionale dal pubblico al privato e soprattutto all’estero: oggi in Europa il 45% dei medici che operano in un paese straniero è italiano. È un esodo di proporzioni bibliche: tra il 2000 e il 2022 hanno scelto di lavorare all’estero quasi 180mila professionisti.

Sanitari formati e regalati all’estero

Di questi circa 131mila sono medici e 48mila infermieri. La meta preferita per gli infermieri è il Regno Unito, seguito dalla Svizzera e dalla Germania. I medici invece hanno concentrazioni minori in un singolo Stato, ma si sono distribuiti in numeri maggiori in più stati: Francia e Belgio in primis e poi Germania, Israele, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Ricordiamo che la formazione di ciascuno di loro è costata mediamente 150.000 euro al nostro Paese: li formiamo e li regaliamo ad altri, mentre il nostro SSN avrebbe bisogno di 40.000 medici, tra ospedalieri e medici di medicina generale e di 53.000 infermieri. Per quanto attiene i medici di famiglia, tra un po’ milioni di italiani non avranno neanche quello, perché dopo aver perso 3000 Medici tra il 2013 e il 2019, la corsa ai pensionamenti ne prevede circa 35.200 entro il 2027.
Tutto ciò mentre la popolazione italiana non fa più figli e invecchia, per di più male.

Almeno il 40% della nostra popolazione (23,6 milioni persone) ha almeno una delle seguenti condizioni croniche (ipertensione arteriosa, ictus ischemico, malattie ischemiche del cuore, scompenso cardiaco congestizio, diabete mellito tipo II, BPCO, asma bronchiale, osteoartrosi, disturbi tiroidei) e molti non riescono più a curarsi, a meno di mettere mano alla tasca tirando fuori ormai più di 40 miliardi di euro l’anno, la cifra di spesa privata più in crescita tra tutti paesi occidentali ad eccezione degli Stati Uniti. Per quelli che non possono pagare, e sono ormai milioni, l’unica alternativa è la rinuncia alle cure. Ma se un Paese occidentale moderno si sta riducendo così è esclusivamente per una scelta politica pluriennale e che pare caratterizzare, al di là delle dichiarazioni di circostanza, anche l’attuale governo, che non ha torto nel dire che non ci sono stati mai così tanti soldi per la sanità rispetto agli anni precedenti (vedi Figura 1), ma che pare non capire che l’abisso che ormai ci separa dagli altri paesi civili sta diventando incolmabile e se la salute e la sanità non diventano una priorità bipartisan le conseguenze per il Paese saranno devastanti. Al momento non pare sia così, come si evince dalla Tabella 1 in cui sono riassunte le spese pubbliche negli ultimi anni, basti pensare all’abisso che separa gli stanziamenti per il superbonus edilizio o i fondi per tagliare le tasse e l’aumento di 3 miliardi per il SSN.

Riforma necessaria

In conclusione, il SSN è ormai in una crisi strutturale che non viene affrontata in modo adeguato e in un mondo sempre più pericoloso e problematico questo è un rischio mortale.
Un sistema sanitario universalistico rimane la garanzia più forte per la resilienza di un Paese, ma se non si metterà presto mano, in maniera bipartisan, ad una riforma del SSN ci sarà presto un sistema pubblico sempre più povero per i poveri e un sistema privato di maggiore qualità per chi ha fondi aziendali o assicurativi o ha i soldi per pagare. Nell’indebolimento delle strutture pubbliche, anche quelle di governo a livello centrale, la Regione diverrà l’amministrazione sempre più importante per garantire servizi ai cittadini, ma anche le Regioni più ricche avranno enormi difficoltà a farlo se non ottimizzano le proprie risorse, ma questo appare difficile in un contesto manageriale in cui le nomine non privilegiano il merito ma la fedeltà partitica e l’accondiscendenza decisionale alle indicazioni della politica.
L’Italia ne soffrirà in termini di competitività e ricchezza e uscirà pian piano dal novero delle nazioni civili alla luce della definizione di Aneurin Bevan, padre del National Health Service britannico, quando diceva che “nessun Paese si può definire veramente civile se a una persona viene negata assistenza medica se non ha i soldi per pagare”.
È quello che sta già succedendo in Italia. Non bisogna rassegnarsi, e il modo migliore per reagire è denunciare che cosa sta accadendo.

Walter Ricciardi

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