Nell’arcicitata COP27 di Sharm el-Sheikh si sta scrivendo in questi giorni l’ennesimo capitolo del lungo racconto delle COP (Conferences of Parties), che riuniscono annualmente i Paesi sottoscrittori della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). È una storia, quella delle COP, che cominciò nel 1995 in Germania, quando il tema del cambiamento climatico arrivò ufficialmente all’attenzione del mondo. Fece una tappa importante a Kyoto, con il famoso protocollo della COP3, dove si presero prime decisioni significative per contrastare il cambiamento climatico. Poi, in un crescendo di attenzioni, entusiasmi e delusioni, aspettative e fallimenti, restano agli annali gli aggiornamenti di Copenhagen (Cop15), gli accordi di Parigi (Cop21) e l’ultima tappa di Glasgow (COP26) dove – nel 2021 – si è gettato l’allarme massimo sulla necessità di diminuire le emissioni di gas climalteranti.

Il punto è che gli ambiziosissimi obiettivi delle COP sono stati travolti dalla sequenza di eventi dell’ultimo biennio: pandemia, guerra, crisi energetica. Per cui la Grande Missione della transizione si trova a fare oggi i conti con un mondo che impone scelte molto cogenti, con ineludibili problemi di sostenibilità economica e sociale oltre che ambientale. Ed è quindi salutato con attenzione e curiosità chi, anche sul palcoscenico globale di Sharm, si pone all’incrocio di queste delicatissime tematiche. Come l’OMC – Med energy conference and Exhibition, un evento nato negli anni’ 90 a Ravenna come Offshore Mediterranean Conference e che, nel corso della sua storia trentennale, ha cambiato progressivamente pelle, adeguandosi alle evoluzioni degli scenari energetici. Fino ad assumere, nel 2021, l’attuale denominazione, che sottolinea esplicitamente l’intenzione di salvaguardare e promuovere gli interessi energetici mediterranei. E, con questa nuova ambizione, ha partecipato per la prima volta nella sua storia ad una COP.

Per cogliere l’identità di OMC, e quale sia stato il contributo alla COP egiziana, basta guardare alle tematiche messe al centro dei suoi panel. Un’identità legata a doppio filo al concetto di “alleanza”. Ce ne parla Monica Spada, Presidente OMC: “Alleanza per noi è la parola chiave. Alleanza tra le diverse fonti tecnologiche, in base al principio della neutralità tecnologica, e alleanza tra un gruppo eterogeneo di stakeholders dell’energia, produttori, contrattisti, istituzioni, consumatori e giovani, università e start up che lavorino insieme su obiettivi condivisi per trovare soluzioni adeguate a problemi inediti”. Di primaria importanza dunque la partnership tra gli stakeholder mediterranei, focus dell’attività di OMC. “Nei suoi trent’anni di attività – dice ancora la Spada – OMC ha sempre posto il Mediterraneo al centro dell’attenzione, sia per il suo essere storicamente crocevia di culture e civilizzazioni, sia per la sua naturale funzione di ponte tra Nord e Sud in termini di energia e di sviluppo in generale”.

E infatti, a proposito di debutti, per la prima volta in una COP, si è raccolto il punto di vista del settore privato legato all’energia, esigenza a cui OMC ha risposto facendosene portavoce, e sottolineando la necessità di affiancare, ai temi della transizione energetica, quello che Monica Spada definisce il “trilemma della transizione, che comprende competitività, disponibilità e sostenibilità”. Perché il “Green Deal euro mediterraneo”, di cui OMC si fa promotrice, deve fondarsi con nettezza sull’alleanza tra i Paesi europei e i Paesi africani. Bisogna insomma mettere a fattore comune le potenzialità del Nord e del Sud del Mediterraneo, e facilitare la nascita di un nuovo modello di business concreto e basato sulle possibili sinergie dell’area. L’approccio che occorre, e che OMC assume, è quello del pragmatismo. Secondo Spada “per vincere le sfide poste è necessario comprendere che differenti livelli di sviluppo richiedono strade diverse verso l’obiettivo comune della decarbonizzazione”. È proprio la diversità di idee, di punti di vista, di esigenze e anche di tecnologie che rende il Mediterraneo la fucina ideale per forgiare il futuro energetico di tutta l’area.

Così lo stesso futuro di OMC-MED, nell’appuntamento del trentennale che si terrà a Ravenna nel maggio 2023, è disegnato intorno alla centralità di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e oggi più che mai sono essenziali nel dibattito mondiale sul futuro dell’energia. Anche perché, ricorda Spada, “nei prossimi 25 anni la domanda di energia primaria nel Mediterraneo crescerà in modo sostanziale, per via tanto della crescita demografica quanto di quella economica della regione, specie per quel che riguarda il Nord Africa”. I numeri ci parlano di uno scenario in cui, entro il 2040, il consumo di energia raddoppierà nei Paesi del Sud del Mediterraneo, mentre il consumo di elettricità verrà addirittura triplicato. Senza considerare gli aumenti delle emissioni di CO2. Per questo si rivela sempre più fondamentale mettere a sistema l’enorme potenziale in termini di rinnovabili, onshore e offshore, bioenergie e fonti marine. “La transizione energetica nel Mediterraneo può fungere anche da catalizzatore per quelle spinte trasformative capaci di rivitalizzare l’economia dell’area e, appunto, raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione posti. A patto che – e questa è la chiave di volta di tutto il processo, secondo Monica Spada vi siano risposte multilaterali e azioni collettive”.