Nel “Si&No” del Riformista spazia all’ultimatum del commissario europeo al mercato interno Thierry Breton ad Elon Musk, proprietario di X (Twitter), per limitare la diffusione di contenuti considerati fake news dopo l’attacco di Hamas in Israele. Giusta la richiesta? Favorevole Emanuele Cristelli, consulente relazioni pubbliche e istituzionali, secondo cui “il problema non è solo legale ma soprattutto politico ed etico”. Contrario invece Domenico Giordano, spin doctor per l’agenzia di comunicazione Arcadia, che osserva: “La disinformazione non può essere gestita con la reprimenda pubblica“.

Qui il commento di Emanuele Cristelli:

Thierry Breton, commissario europeo al mercato interno, ha ragione ad accusare Elon Musk, CEO di X, di non fare abbastanza per contrastare la diffusione di false informazioni sullo scontro tra Israele e il gruppo Hamas. Ha fatto bene a chiedergli di intervenire con urgenza per rimuovere i contenuti illegali e dannosi dalla sua piattaforma, e di cooperare con le autorità competenti per prevenire ulteriori abusi.
Il Digital Services Act (DSA) parla chiaro: sanzioni severe per i fornitori di servizi online che non rispettano i loro obblighi in materia di moderazione dei contenuti, nello specifico per attori grandi come X che avrebbero già dovuto adeguare i loro standard alla DSA da qualche mese.
Ma il problema non è solo legale, ma soprattutto politico ed etico: un grande player dell’informazione e comunicazione social come X, non può fare spallucce dinanzi all’esigenza storica di ridurre le distanze fra percezione e realtà nella vita di ogni giorno delle nostre comunità a livello globale.
Questa distanza, che si è acuita negli ultimi anni, ha generato enormi distorsioni che oggi ci troviamo a combattere in casa nostra e che hanno contribuito a rompere quel patto sociale fra cittadini che condividono un impianto valoriale comune. Pensiamo agli anni di propaganda filorussa incontrollata di questi anni, che hanno fatto mettere radici ad un antioccidentalismo diffuso che oggi consente a Putin di portare avanti una guerra asimmetrica: sul campo contro l’Ucraina, sul web contro le Democrazie europee.
Oggi potremmo trovarci quindi davanti a un nuovo inizio: da una parte Hamas e dall’altra noi, vittime del loro terrore, vero o falso che sia, che ci fa paura perché è verosimile, ed è tutta lì che si gioca la partita delle fakenews: esse hanno successo, perché in fondo agli occhi di molte persone paiono realistiche, e quindi credibili.

Dinanzi a questo stato di cose, Elon Musk non può trincerarsi dietro i leitmotiv del “free speech” e della libertà d’espressione, caposaldo di ogni democrazia occidentale ma che, come ben sa Musk, non è illimitata, come qualsiasi libertà.
C’è un vecchio detto che recita “La mia libertà finisce dove inizia la tua”: ecco, la libertà di Musk di dare sfogo al suo concetto di libertà d’espressione sul suo social finisce nel momento in cui inizia il diritto degli utenti a un’informazione autentica, reale, attinente ai fatti e attenta a non farsi megafono delle propagande terroristiche che diffondono falsità per generare quella morbosità che, come sappiamo, non fa altro che amplificare i messaggi peggiori attraverso i social e diffondere un sentimento di insicurezza diffusa.
Tollerare l’intollerante, normalizzarlo, è il primo passo verso l’abisso delle democrazie, che si trovano oggi ad affrontare oltre alla sfida contro le fakenews, anche quella per la regolamentazione dell’uso dei big data per fini non solo di mercato, ma anche politici: sfide affascinanti ma che mettono inquietudine e sulle quali l’UE ha deciso di non fare sconti e muoversi in modo unitario contro chi, fornitore di servizi digitali, non è disposto a cedere una parte del suo potere in nome di un bene supremo, ovvero quello di tutelare la qualità delle nostre democrazie.

Chi decide oggi di alzare le spalle e far finta di niente, incorrendo in sanzioni, aggirando gli ostacoli e mascherandosi da difensore della libertà d’espressione, sta solo ritardando il momento in cui i suoi stessi utenti gli chiederanno conto di tutto questo: la sensibilità verso questo tema delicatissimo sta lentamente crescendo e fra non molti anni , grazie alla consapevolezza che stanno maturando soprattutto le nuove generazioni, sarà uno dei criteri attraverso cui i cittadini di domani sceglieranno o meno di usare una piattaforma anziché un’altra.
Sbaglia Musk a nicchiare e a girare intorno alla questione, mi permetto di dire soprattutto nei suoi stessi confronti: un visionario come lui in tanti campi, non può non vedere i rischi futuri che si celano dietro il far west digitale.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna