Nel nostro Paese i media fanno a gara nel trovare statistiche o notizie negative sull’Italia, un po’ per ragioni politiche (cioè per attaccare di volta in volta il governo in carica), un po’ perché l’autodenigrazione e la lamentazione continua sono uno sport nazionale. Volete fare una prova? Inserite in un motore di ricerca su Internet la frase “Italia ultima in Europa” e vi usciranno decine e decine di titoli di nostri giornali sui temi più diversi. Con l’Italia ultima per crescita economica, produttività, ricerca, prestiti, trasporti, istruzione, finanza pubblica, sanità, occupazione, istruzione, università, laureati, smart working, ecc., sulla base di dati peraltro spesso improbabili, sbagliati o tirati per i capelli. Ma troverete che l’Italia è ultima anche per salute mentale, educazione sessuale, perfino per libertà di stampa. Manca solo che prima o poi qualche testata titoli: Italia ultima in Europa per consumo di pastasciutta… E forse, allora, a parecchi lettori sorgerà più di un dubbio e ci sarà finalmente la rivolta contro questo malcostume giornalistico.

All’opposto, non troverete sui nostri media notizia alcuna tra queste (che sono vere), del tipo: Italia prima per crescita del PIL dal 2019 al 2023 tra i 4 grandi Paesi europei del G7; export italiano ormai quasi grande come quello del Giappone; Italia quinta al mondo per migliore bilancia manifatturiera con l’estero; Italia prima agricoltura d’Europa per valore aggiunto ex aequo con la Francia; Italia primo Paese dell’UE per pernottamenti di turisti stranieri provenienti da altri continenti; Italia terza al mondo secondo l’indice ONU di sviluppo umano corretto per le pressioni planetarie; Italia prima per produttività del lavoro delle medie imprese manifatturiere tra i 4 grandi Paesi dell’Euroarea; ecc.

In questi giorni l’Eurostat ha pubblicato, con tanto di comunicato stampa, un indice sulla soddisfazione per la qualità della vita dei cittadini in cui l’Italia figura nella parte medio-alta della classifica europea e comunque davanti agli altri quattro maggiori Paesi della moneta unica. Un indice, però, passato pressoché inosservato. Diciamo che ben pochi italiani ne sono stati informati o se ne sono accorti. Ma è una notizia su cui varrebbe la pena di accendere un riflettore. Per di più, trattandosi dell’Eurostat, cioè di una fonte affidabile, è difficile che si possa dubitare di questi dati.

L’indice elaborato dall’Eurostat è un indice soggettivo di soddisfazione della qualità della vita, frutto di una indagine periodica basata su interviste, a cui viene chiesto a campioni di cittadini dei vari Paesi membri di esprimere un giudizio complessivo sui vari aspetti della loro esistenza (economici, relazionali, valoriali, ecc.), dando dei voti da 0 a 10, così raggruppati: da 0 a 5 uguale non soddisfatto; da 6 a 8 uguale mediamente soddisfatto; da 9 a 10 molto soddisfatto. Nell’indagine del 2022 l’Italia ha preso un voto medio di 7,2. Si potrebbe dire, per citare Cochi e Renato, un bel “Bravo 7+”. Un valore appena dietro quello della Svezia (7,4) ma davanti a Spagna (7,1), Francia (7,0) e Germania (6,5), con la sola Bulgaria che ha fatto peggio di quest’ultima! Cioè i tedeschi sono tra i più infelici d’Europa, anche se nessun giornale in Germania ne ha dato notizia. Mentre è quasi certo che, se l’Italia fosse stata ultima in questo indice, nel nostro Paese avremmo visto molti titoli a quattro colonne.

Al contrario, ci troviamo di fronte ad un dato per noi molto positivo. Per di più, In Italia sia i maschi (indice medio 7,2) sia le femmine (7,1) sono risultati più felici che in Francia e Germania, con solo le femmine spagnole felici come le italiane ma non i maschi. Non solo. Nel 2013, quando è cominciata l’indagine, l’indice di soddisfazione medio della qualità della vita del nostro Paese era pari soltanto a 6,7 ed era inferiore a quello delle altre tre maggiori economie dell’Euroarea, con la Germania in testa (7,3), seguita da Francia (7,1) e Spagna (6,9). Dunque, da allora ad oggi, il nostro Paese ha rovesciato la classifica e gli italiani sono oggi molto più felici di dieci anni fa. Sta a vedere che l’eliminazione dell’imposta sulla prima casa, gli 80 euro, il piano Industria 4.0 con il rafforzamento competitivo delle nostre imprese e, infine, il governo Draghi, che ci ha portato fuori dalla pandemia e ha guidato la nostra ripresa economica dal 2021 al 2022, sono serviti a qualcosa…

Per chi avesse dei dubbi su eventuali casualità o distorsioni di queste statistiche derivanti dalla struttura della popolazione italiana, che è molto vecchia, osserviamo che i dati Eurostat indicano che gli italiani nel 2022 erano più felici di francesi, spagnoli e tedeschi in tutte le classi di età 25-34 anni (indice 7,3), 35-49 anni (indice 7,4), 50-64 anni (indice 7,1); mentre erano alla pari con gli spagnoli nella classe di età 65 anni e oltre (indice 6,9) e dietro agli spagnoli per un solo decimale (7,6 contro 7,7) nella classe dei più giovani da 16-24 anni, ma comunque regolarmente sempre davanti a francesi e tedeschi.

D’altronde, questi miglioramenti della percezione delle condizioni di vita degli italiani sono rispecchiati anche da altri indicatori Eurostat egualmente sconosciuti in Italia come, ad esempio, quelli sulla grave deprivazione materiale (caratterizzata dall’impossibilità di un individuo di poter affrontare spese impreviste o di poter sostenere consumi basici). Ad esempio, secondo l’Eurostat nel 2015, all’indomani di due grandi crisi quasi consecutive, quella mondiale dei mutui subprime e quella europea del contagio del debito greco, con i successivi anni di austerità, le persone in condizioni di severa deprivazione in Italia erano ben 7 milioni e 386 mila mentre nel 2022 il loro numero è sceso verticalmente a 2 milioni e 613 mila (contro i circa 5 milioni della Germania, i 4,7 milioni della Francia e i 3,5 milioni della Spagna). E’ questa, un’altra notizia di cui non si trova traccia alcuna sui nostri media. Le più forti diminuzioni della percentuale di persone deprivate si sono registrate in Italia dal 2015 al 2018 e dal 2021 al 2022: entrambi momenti in cui la crescita economica e occupazionale nel nostro Paese è stata forte.
Tutto bene, dunque? No, perché l’indagine Eurostat si ferma al 2022 e la ritrovata felicità raggiunta dagli italiani all’uscita dalla pandemia è ora minacciata dall’erosione del potere d’acquisto provocata dall’inflazione. Sarebbe perciò importante che il Governo tornasse a preoccuparsi di un tema chiave come il miglioramento del reddito del ceto medio italiano e dei lavoratori dipendenti e non soltanto di garantire scappatoie all’esercito di evasori fiscali che alimenta, in molti settori del lavoro non dipendente, il grande sommerso del nostro Paese.