Lo stillicidio quotidiano delle notizie di donne uccise non ci dà tregua. È un fenomeno antico ma una nuova coscienza collettiva ha permesso che negli ultimi anni emergesse in tutta la sua drammaticità. La legislazione si è adeguata, l’attenzione delle cronache è alta e negli atenei si elaborano e discutono tesi. Eppure, continuano. Uomini che uccidono o tentano di uccidere le donne.

Attenzione, infatti, ai semplici tentativi o ai propositi non realizzati perché – se fosse possibile contabilizzarli con precisione – questi fornirebbero una rappresentazione del fenomeno ancora più drammatica. Come se la vita non fornisse già sufficienti difficoltà e inciampi, le donne hanno appreso che – come chiunque – possono morire per un incidente, di malattia o per un comune e indiscriminato atto di violenza. E poi, in più, hanno capito che possono morire di genere, cioè per il solo fatto di essere donne.

Son passati poco più di 10 anni da quando è stato introdotto il reato di femminicidio. Un tempo piccolo, tutto sommato, rispetto alla natura di un problema annidato in pieghe profondissime della nostra società. Un tempo piccolissimo, temo, rispetto a quanto ancora ne occorrerà. Sarà infatti ancora molto duro lo sforzo da compiere per estirpare il baco culturale che determina questa quotidiana e incessante carneficina. Bisognerà convincere ancora molti uomini che, qualunque rapporto intrattengano e stringano con una donna, questa non sarà mai di loro proprietà e che in alcun modo possono disporre della sua vita e della sua libertà. E poi bisognerà convincere una platea infinitamente più vasta di uomini che non esiste conflitto personale che possano credere di risolvere con la violenza e la sopraffazione.

Sono questi i due fronti sui quali bisogna continuare a lavorare. Censurare la violenza in sé, ogni tipo di violenza, per colpire una delle radici più profonde del femminicidio: la vocazione al dominio fisico che in molti uomini sedimenta come un primordiale retaggio, fin da bambini. E soprattutto dotare le donne di tutti gli strumenti utili a demolire l’immagine debole e subalterna che alcuni conservano di loro. Ed ecco che torna utile definire quale sia il più efficace di questi strumenti: senza dubbio, l’emancipazione economica e professionale della donna. Dal momento che solo la capacità economica può dare corpo a una sostanziale parità tra gli uomini e le donne, tale che i primi non profittino più, sotto qualsiasi punto di vista, delle seconde.

Non si può permettere che accada tutto questo proprio mentre alimentiamo con più tenacia, forse come mai prima d’oggi, le ambizioni di progresso. Perché il femminicidio è lo scandalo di questa epoca. E rappresenta la vergogna dell’Occidente cosiddetto civilizzato. Non può reggere oltre il paradosso di una società che è in grado di addestrare un’Intelligenza Artificiale e che, al contempo, non riesce a fermare il rigurgito preistorico della potestà dell’uomo sulla donna.