Due mamme hanno vinto il loro ricorso e sulla carta d’identità della loro bambina “dovrà comparire la scritta neutra genitore” e non “padre” o “madre” come previsto da un decreto voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini nel gennaio del 2019. A imporre la dicitura un’ordinanza del Tribunale civile di Roma, XVIII Sezione, dopo il ricorso delle due donne, la madre legale e quella adottiva. “Il tribunale accoglie parzialmente il ricorso e per l’effetto dichiara il difetto di legittimazione passiva di Roma Capitale”.

Il documento è la carta d’identità elettronica valida per l’espatrio della bambina. Il decreto dell’allora ministro dell’Interno Salvini agiva proprio sulle carte d’identità rilasciate ai minorenni. Sui campi previsti per le persone responsabili della potestà genitoriale doveva apparire la dicitura “padre” o “madre” anche nei casi di famiglie omogenitoriali. Il ricorso delle due mamme era stato portato avanti dalle associazioni Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno, attive fin dal 31 gennaio 2019 per contrastare la norma del segretario della Lega intanto arrivato a ricoprire la carica di vice primo ministro e ministro delle Infrastrutture nell’attuale governo Meloni.

L’adozione del provvedimento andava contro le indicazioni del Garante della privacy e della Conferenza Stato-Città. La modifica annunciata in Parlamento dall’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese non era mai stata portata avanti. L’ordinanza precisa che “discutendosi, nella fattispecie, del rilascio della Carte d’Identità Elettronica valida per l’espatrio, la falsa rappresentazione del ruolo parentale di una delle due genitrici, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere, comporta conseguenze (almeno potenziali) rilevanti sia sul piano del rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione, sia sul piano della necessaria applicazione del diritto primario e derivato dell’Unione europea”.

Il Giudice ha aggiunto che “la carta d’identità è un documento con valore certificativo, destinato a provare l’identità personale del titolare, che deve rappresentare in modo esatto quanto risulta dagli atti dello stato civile di cui certifica il contenuto. Ora, un documento che, sulla base di un atto di nascita dal quale risulta che una minore è figlia di una determinata donna ed è stata adottata da un’altra donna, indichi una delle due donne come ‘padre’, contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (artt. 479 e 480 cod. penale)”.

L’avvocata Federica Tempori, che ha assistito le due donne, ha detto all’Ansa che “dopo un primo ricorso al Tar ci siamo rivolti al tribunale ordinario che con una sentenza bellissima ci ha dato ragione” e ha spiegato che “il giudice afferma che il decreto oltre a violare le norme, sia comunitarie che internazionali, è viziato da eccesso di potere. In quel provvedimento il ministro va oltre le sue competenze: la carta di identità è, infatti, un documento certificativo di una realtà già pre esistente nell’atto nascita che stabilisce una madre partoriente e una adottiva. Non può quindi esserci discrasia tra documento di identità e l’atto di nascita”.

L’ordinanza del Tribunale costringe ora il ministero dell’Interno e il sindaco di Roma a “indicare (apportando al software e/o dell’hardware predisposto per la richiesta, la compilazione, l’emissione e la stampa delle carte d’identità elettroniche le modifiche che si rendessero all’uopo necessarie) le qualifiche ‘neutre’ di ‘genitore’ in corrispondenza dei nomi delle ricorrenti (…)”. Il decreto del 2019 non è stato ancora annullato. Il Tribunale di Roma si dovrà pronunciare anche su un caso analogo sollevato da altre due madri.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.