Parla Daniela Falanga, presidente dell’associazione Arcigay Napoli, dopo la tragedia di Chiara, la 18enne trans che nei giorni scorsi si è tolta la vita nella sua casa a Napoli.

Daniela, la storia di Chiara ci rimette davanti a una realtà sconcertante: nel 2022 si muore perché discriminati a causa dell’identità sessuale.
«Sì. Purtroppo è così. Le operatrici della comunità per minori a rischio che hanno accolto Chiara, l’hanno aiutata in modo straordinario. L’abbiamo aiutata nel suo percorso di consapevolezza rispetto alla sua identità di genere, poi è stata rimandata a un percorso terapeutico con il servizio sanitario pubblico ma c’era una lista d’attesa lunghissima e le avevano dato appuntamento al 21 dicembre, una risposta troppo lenta. Chiara aveva bisogno di quel supporto, ma non è arrivato in tempo. Ho letto che a Napoli non abbiamo la capacità di supportare persone che vivono momenti di difficoltà in realtà siamo preparatissimi per garantire spazi a chi vive ostracismo familiare e sociale, ma molti enti non lo sono altrettanto».

Le istituzioni locali dovrebbero fare di più, in che direzione?
«Ci sono degli spazi pubblici come il consultorio, ovviamente gratuito, nell’ambito delle Asl, ci sono delle risposte per le persone trans nell’immediato. Ma c’è da sottolineare che le Asl campane stanno dando solo ora seguito alla legge regionale 35/2020 che prevede lo psicologo di base. Con due anni di ritardo. Bisogna fare in modo che percorsi di aiuto psicologico per i ragazzi e le ragazze inizino il prima possibile, ogni ragazzo porta con sé dei drammi, al di là dell’essere una persona trans con un’identità di genere diversa dalla massa, e quindi tutti i ragazzi devono trovare supporto quando sono in difficoltà: la rete degli psicologi è fondamentale per mitigare i drammi interiori dei ragazzi».

Daniela, lei ha affrontato il percorso di transizione. Quanto è stato difficile scontrarsi con le resistenze che esistono in questa società?
«I problemi che si possono avere quando si inizia un percorso di questo tipo sono diversi: bullismo nelle scuole, ma anche “bullismo istituzionale” quando una persona trans viene derisa o comunque non presa in carico dalle istituzioni in maniera corretta. Il problema e la mancanza di formazione su tutti i piani, istituzionali e scolastici e della società. C’è anche una medicina di genere che va regolata, riformata rispetto a quelli che sono i corpi delle persone trans, va attivata una formazione capillare a tutti e tutte e in ogni ambito e in ogni spazio, perché è il non essere compresi che attiva i drammi maggiori e questo è assurdo».

Proprio il 27 ottobre dell’anno scorso, il Ddl Zan veniva affossato in Parlamento e si è persa un’occasione preziosissima per far valere i diritti della comunità Lgbt+, ora il nuovo Governo le fa paura?
«La non attuazione del Ddl Zan ha sicuramente leso le vite delle persone che ricevono costantemente odio solo perché Lgbt+ o solo perché intercettate in quanto tali. È un problema serio legato a una risposta culturale e sociale verso queste persone che vengono costantemente vessate. Il Ddl Zan serviva a mettere in chiaro che esiste un piano di odio legato all’identità sessuale della persona. Il fatto che lo Stato non lo recepisca è assurdo, io vengo insultata e bullizzata in quanto donna trans e non in quanto donna e basta. Esattamente come una persona gay o lesbica. C’è da rispondere a una situazione importante che tra l’altro si aggrava in un momento in cui il Governo sta attivando una forma di negazione verso tutte le istanze del mondo gay, stiamo facendo passi indietro e abbiamo paura che nulla cambi. Quello che era un percorso importante sul piano istituzionale è stato completamente mortificato da azioni di negazioni e oggi da un Governo che non porta con sé una cultura liberale. È altamente significativo: l’Italia è già compromessa rispetto al concetto di libertà e autodeterminazione».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.