La partita in Europa è aperta: il futuro di von der Leyen è ancora incerto. Il suo bis alla guida della Commissione Ue dipende anche dalla scelta dei conservatori, ma per Francesco Tufarelli la strategia di Ursula sarebbe in realtà un’altra: «Vuole attrarre a sé singoli eurodeputati piuttosto che interi gruppi». L’esito del voto segreto a Strasburgo – avverte l’ex capo di gabinetto del ministro per gli Affari europei e direttore editoriale di Europa 2028 – è imprevedibile: «Ci si potrebbe aspettare una resa dei conti interna e l’inevitabile caccia al traditore». A quel punto si potrebbe puntare su Roberta Metsola per sbloccare l’eventuale impasse del Parlamento. Quanto alla partita sui commissari, all’Italia «spetta sicuramente un portafoglio pesante» e il nome del ministro Fitto è quello «più competitivo e duttile».

L’incontro tra von der Leyen e i conservatori non ha sciolto i nodi. Siamo sempre al punto di partenza?
«L’incontro è stato utile per chiarire la posizione delle varie delegazioni all’interno di un gruppo che si presenta particolarmente articolato. Le differenze erano in gran parte note, ma l’incontro con la presidente in pectore ha dato maggiore luce al quadro generale in attesa del voto del 18 luglio».

I polacchi del PIS hanno già detto «no», mentre Fratelli d’Italia è più cauto. Sono le prime avvisaglie di una spaccatura inevitabile?
«Non parlerei di spaccature. La variegata composizione del gruppo Ecr giustifica in questa fase scelte diverse che risentono in parte anche di logiche nazionali. Qualcuno, come ad esempio il PIS, dichiara di essere deluso dai primi 5 anni di mandato di Ursula von der Leyen e dunque non ritiene opportuno rinnovare la fiducia. Viceversa, il premier ceco Peter Fiala e i suoi eurodeputati si sono dichiarati favorevoli. Gli stessi fiamminghi a ora appaiono possibilisti, mentre ulteriori delegazioni confermano la loro posizione contraria».

Qual è il piano B di Ursula qualora Ecr non dovesse sostenerla?
«Non penso che la presidente abbia mai confidato di portare con sé l’intero Ecr e, a dire il vero, non penso neanche se lo auguri: sarebbe troppo complicato da gestire e giustificare. Ritengo piuttosto che la linea sia quella di attrarre a sé singoli eurodeputati o singole delegazioni dei gruppi non allineati o – ancor meglio – di eurodeputati non iscritti, sicuramente più gestibili e giustificabili con l’attuale governance della sua maggioranza. Potremmo dire che Ursula è oggi alla ricerca di una maggioranza Roberta, emulando il capolavoro compiuto ieri da Metsola. Fino a oggi, del resto, la presidente è stata abilissima a conquistare la maggioranza sui diversi provvedimenti nonostante la difficile partenza di 5 anni fa. Nelle prossime 48 ore von der Leyen dovrà dimostrare che la sua candidatura superi gli steccati della sua maggioranza, un po’ restia ad acquisire nuovi amici ma troppo esigua per affrontare le insidie del voto segreto».

Giovedì 18 luglio ci sarà la prova dell’Aula: il semaforo verde al bis di von der Leyen è certo o c’è la seria possibilità che venga impallinato?
«In tutte le votazioni il voto segreto nasconde pesanti insidie, soprattutto nell’emiciclo europeo dove le diverse dinamiche partitiche (nazionali e talora personali) si fondono in una miscela diabolica e spesso difficilmente intellegibile. La volontà del Parlamento europeo di far pesare il suo ruolo è costata nel tempo la vita a diversi commissari, dunque l’insidia non va assolutamente sottovalutata».

Cosa accadrebbe se i franchi tiratori le dovessero sbarrare la strada?
«Una bocciatura della von der Leyen aprirebbe inevitabilmente nuovi scenari e sarebbe un colpo anche per la sua maggioranza che, al debutto e alla prova dei fatti, non dimostrerebbe l’autosufficienza. A quel punto ci si può anche aspettare una resa dei conti interna, perché sulla carta i numeri ci sono e l’inevitabile caccia al traditore sicuramente non farebbe bene né alla maggioranza, né al Parlamento, né alle istituzioni europee. Un possibile nome per sbloccare l’eventuale impasse potrebbe essere proprio quello di Metsola: sarebbe difficile dirle di no, vista la maggioranza record appena incassata. Bisognerebbe comunque valutare: potrebbe essere presa come una mancanza di rispetto nei confronti del Parlamento ed essere controproducente».

L’Italia scommette in grande: vicepresidente esecutivo e commissario di peso. Avremo entrambi o Meloni tornerà a casa con un pugno di mosche?
«All’Italia per storia, tradizione e ruolo spetta sicuramente un portafoglio pesante, mentre mi appassiona meno il dibattito sulla vicepresidenza esecutiva di cui fatico a comprendere i contorni. Fermo restando la probabile necessità di nominare uno o più vicepresidenti, il termine esecutivo non mi pare in linea con le esperienze trascorse. Il termine è più adatto a un’impresa o a una società commerciale, ma mal si adatta a un organo politico. Sui diversi portafogli si eserciterà poi la fantasia della presidente che immagino già sepolta dalle richieste. Inventare 27 portafogli è infatti un esercizio non banale: è un discreto sudoku, che però dà la possibilità alla presidente di creare portafogli inediti, con pesi diversi rispetto al passato, diretti ad accontentare tutti».

Il ministro Fitto resta il favorito per un portafoglio importante? Si fa anche il nome di Lollobrigida.
«La facoltà di scelta spetta al presidente del Consiglio, che normalmente concorda il portafoglio e sceglie il candidato migliore. A oggi, tra i nomi proposti, quello del ministro Fitto – per storia personale, competenze e posizionamento – appare ancora il più competitivo e il più duttile. Nonostante la rilevanza del tema, l’Italia ha avuto nella storia solo una volta (e per brevissimo tempo) il portafoglio dell’agricoltura. Prima di questa scelta è tuttavia importante che Ursula von der Leyen abbia la fiducia».