Nella stessa settimana in cui si celebra Giacomo Matteotti, il leader socialista barbaramente trucidato da una squadraccia di fascisti su incarico di Mussolini, Poste Italiane emette un francobollo dedicato a Italo Foschi. Il nome è sconosciuto ai più. Si tratta di un dirigente del Partito nazionalista italiano che animò le campagne interventiste e aderì con convinzione al fascismo. Non fu un’adesione ideale: sempre pronto a menare le mani, si macchiò di crimini non dissimili da quelli subìti – con conseguenze letali – da Matteotti: giunto ai vertici dello squadrismo capitolino, fu tra gli organizzatori dell’assalto alla casa dell’ex-presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti e di vari pestaggi ai dirigenti dell’opposizione dopo le elezioni del 1924.

L’emissione del valore bollato, passata – come riporta Il Riformista – con il favore delle tenebre, lo celebra per l’attivismo nella politica sportiva: fondò l’A.S. Roma, elaborò la riorganizzazione del Coni, lanciò la Federazione Italiana Gioco Calcio. Bello, si dirà. Se non ci fossero quegli antefatti. Abbiamo chiesto un’opinione alla professoressa Michela Ponzani, docente di storia contemporanea a Roma Tor Vergata e Roma Tre, divulgatrice televisiva con approfondimenti storici per Rai Storia e La7 e autrice tra i tanti saggi del volume “Processo alla Resistenza”, uscito con Einaudi.

C’è l’idea di affiancare le storie dei vincitori e dei vinti per cercare un voltapagina che cancelli o confonda torti e ragioni?
«Secondo me c’è anche di peggio. Siamo oltre quel processo di memoria condivisa: non siamo di fronte solo a un tentativo di semplice rivisitazione ma di vera e propria rielaborazione e riscrittura del passato. Il ribaltamento della storia e di ciò che è accaduto».

La storia sembra alla mercé di chi è al governo, ancora lontana dall’essere un patrimonio condiviso.
«Questo è possibile perché c’è un Paese che soffre di clamorosissimi processi di rimozione collettiva. Di ignoranza del proprio passato. Anche in buona fede, perché abbiamo sempre avuto difficoltà a fare i conti con il passato regime: abbiamo avuto fior di programmi televisivi che hanno dipinto il fascismo come un regime da operetta, da riabilitare, non violento come il nazionalsocialismo. Siamo il Paese in cui Montanelli e Cervi hanno banalizzato per decenni l’esperienza storica del fascismo a fronte di un pezzo dell’opinione pubblica che faticava molto a riconoscersi nei valori dell’antifascismo».

Fascismo e antifascismo rimangono terreno di scontro a suon di film, canzoni, perfino francobolli…
«Un discorso serio sul fascismo storico e sull’antifascismo non si fa mai. L’antifascismo sembra diventato un luogo comune, quasi. Purtroppo questo avviene perché lo si va a sventolare in qualsiasi occasione, per qualsiasi motivo, senza cognizione di causa. Senza conoscere nemmeno i fatti. A fronte di una parte dell’opinione pubblica particolarmente rancorosa che costantemente riemerge, soprattutto quando viene solleticata nelle sue paure inconsce e nelle sue nevrosi da personaggi della politica che non si fanno assolutamente scrupolo di solleticare queste paure. Perché in campagna elettorale è lecito tutto. Anche a livello di linguaggio: anzi, più violento è, meglio è».

Con l’effetto di allontanare gli elettori?
«Noi viviamo in una profonda crisi della democrazia rappresentativa, la gente non va più a votare, la politica è estremamente polarizzata e quindi per intercettare il consenso bisogna andare a utilizzare parole sempre più aggressive e sempre più ad effetto. La politica non si fa più con i ragionamenti colti e pacati ma con slogan urlati, parlando alla pancia del Paese. Poi se i cittadini non partecipano più alla vita democratica, non importa più a nessuno. Un problema che non riguarda soltanto noi ma tutte le democrazie occidentali».

Viene detto che va riequilibrata la storia dopo decenni di egemonia culturale della sinistra.
«Anche questo è un argomento vittimistico. La storia della prima Repubblica è stata caratterizzata da una ampia partecipazione alla vita pubblica di quel Msi che nel 1972 sfiorò il 10% e che era fortemente rappresentato in Parlamento. Non è vero che c’è stata una esclusione, e in una democrazia parlamentare non sarebbe neanche stato possibile. Abbiamo smesso di essere nemici e siamo diventati avversari, continuare a usare il linguaggio della contrapposizione frontale non aiuta. “Siamo stati esclusi da una vita e adesso che abbiamo vinto riscriviamo la storia” no, non è accettabile. La storia si fa con i documenti, con il metodo critico, con una metodologia. Le responsabilità sono chiare, è inutile fare polemica sul nulla».

E con questo francobollo per Italo Foschi?
«Bisogna chiedersi il senso di questa operazione. Cos’è che dobbiamo ricordare? C’è stata una dittatura, che ha trascinato l’Italia in guerra, nella povertà, svendendo la patria ai nazisti. Poi una guerra di liberazione, infine la scelta della democrazia parlamentare repubblicana. Cosa c’è da celebrare in questo personaggio che dovrebbe farne un esempio per i giovani?»

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.