Niccolò Ghedini? È stata certamente una delle persone più acute ed intelligenti che abbia conosciuto. Voglio approfittare di questa intervista per fare le più sentite condoglianze alla sua famiglia”. A dirlo è Oliviero Diliberto, ministro della Giustizia nei governi D’Alema uno e due, ed ex segretario del partito dei Comunisti italiani.

Onorevole Diliberto, si ricorda quando è stato il suo primo incontro con l’avvocato Ghedini?
Si, ero ministro della Giustizia. Ghedini all’epoca aveva un ruolo importante, quello di segretario nazionale, all’interno delle Camere penali. Notai subito che aveva una marcia in più rispetto ai suoi colleghi. Lavorava nello studio di Padova dell’avvocato Pietro Longo.

Ghedini in quel periodo non era ancora l’avvocato di Silvio Berlusconi?
No, ancora non c’era quell’intreccio con la politica che poi ha caratterizzato la sua vita, facendolo diventare non solo l’avvocato di Berlusconi ma di tutta la galassia Mediaset, sbaragliando la concorrenza di fior fior di avvocati.

Quando ha terminato il suo incarico di governo lo ha ritrovato sui banchi in Parlamento?
E già. Avevamo un bel rapporto ed abbiano iniziato a frequentarci anche fuori dall’aula. Raramente una persona era così diversa nel privato da come appariva nel pubblico. Abbiamo trascorso serate molte gradevoli, pur avendo idee molto differenti.

Che carattere aveva Ghedini?
Molto auto ironico, non si prendeva troppo sul serio. Le racconto un episodio: stavano passeggiando vicino alla Camera quando iniziò a piovere. Gli dissi che dovevamo accelerare e lui mi rispose che non dovevo preoccuparmi perché non era pioggia ma qualcuno che ci stava sputando.

Tutti dicono che amasse moltissimo il suo lavoro.
Lo confermo. Avevamo entrambi una casa nel sud della Sardegna, un posto poco glamour. Ci incontrammo alla fine dell’estate all’aereporto di Cagliari per tornare a Roma. Era bianchissimo in volto. Gli chiesi che cosa fosse successo. Lui aprì una borsa ed all’interno vi erano le carte di uno dei processi a carico di Berlusconi. Aveva passato le vacanze a studiare il fascicolo.

Essere stato il difensore di Berlusconi ha avuto come conseguenza quella di aver ispirato le leggi ‘ad personam’. Concorda?
Ghedini era personaggio molto geniale ed usava la sua genialità per gli interessi del suo cliente. In quel caso proprio Berlusconi. Le leggi ‘ad personam’ erano una porcata, ma egli era assolutamente consapevole che servissero alla causa. Era troppo intelligente per non saperlo.

Le leggi, però, furono poi votate del parlamento.
Guardi, lei crede che i parlamentari di Forza Italia pensassero veramente che Ruby fosse la nipote di Mubarack? Erano tutti perfettamente e disciplinatamente in mala fede. Sarebbe un’offesa alla loro intelligenza credere il contrario.

Però, non si può negare che alla Procura di Milano ci fosse un ‘accanimento’ nei confronti di Berlusconi. In particolare da parte di un gruppo di magistrati, le “toghe rosse” per usare una definizione molto cara all’ex premier.
Su questo aspetto non sono d’accordo. Il discorso è complesso. Berlusconi quando entrò prepotentemente sulla scena politica ha attirato i fari su di se. Ma ricordiamo che quando era solo un imprenditore era già stato inquisito e aveva beneficiato anche di una amnistia.

Nessun clima ostile alla Procura di Milano?
La stagione ‘efferata’, quella del 1992-1993, era alle spalle quando inziarano i processi a Berlusconi. E poi non è vero che ad indagare fossero solo magistrati di sinistra. Piercamillo Davigo, non era certo una toga di sinistra.

Ghedini si oppose alla legge Severino che, invece, fu votata da Forza Italia.
Quello fu un accanimento. Io ho sempre ritenuto la legge Severino una vera follia. Ma all’epoca, ed anche ora, la politica era talmente debole per potersi schierare contro leggi e provvedimenti che solleticavano la pancia degli italiani. Ed è stato questo il motivo del successo del Movimento cinque stelle.