Giorgio Gori, eurodeputato e Vicepresidente della Commissione Industria, Ricerca e Energia ieri ha votato come la maggior parte degli eurodeputati del suo gruppo, Socialisti & Democratici, in dissenso dal Nazareno. L’ultimo episodio, la rottura in aula a Strasburgo, di una via crucis lastricata di tensioni crescenti tra riformisti e movimentisti, due ali del Pd che faticano a trovare una sintesi. Dai primi si moltiplicano le richieste di andare a un congresso.

Il mondo di Trump sembra destinato a sconvolgere gli equilibri. Inclusi quelli della difesa…
«L’avvento di Trump segna una svolta. Ciò che abbiamo dato per scontato per ottant’anni, il poter fare pieno affidamento sulla protezione militare degli Stati Uniti, oggi non è più una certezza. E siccome il mondo, nel frattempo, è diventato più diviso e minaccioso, anche nel nostro continente, se vogliamo salvaguardare la pace è necessario che l’Europa si faccia più direttamente carico della propria sicurezza, rafforzando con urgenza il proprio apparato di difesa».

Che parere ha del piano ReArm Europe di Ursula von der Leyen ?
«Penso che rappresenti la necessaria, inevitabile risposta al mutato quadro geopolitico e alle nuove minacce cui l’Europa è sottoposta, oltre che un passo obbligato e urgente per dare sostegno all’Ucraina. Necessaria – ripeto – anche se certamente non sufficiente. Il piano, che pure integra una misura molto importante, ovvero il prestito di 150 miliardi garantito da Eurobond e finalizzato a programmi comuni – poggia in larga misura sugli investimenti dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità e senza vincoli all’azione comune. E’ un limite? Sì, che dobbiamo assolutamente correggere. E’ sufficiente per negare l’approvazione al piano? Secondo me, e secondo una larghissima maggioranza del Parlamento europeo, a partire dal gruppo socialista, assolutamente no».

La Russia rappresenta una reale minaccia per la sicurezza dei paesi europei?
«Sì. L’invasione dell’Ucraina non è infatti un episodio isolato, ma fa parte di una politica di potenza i cui segni avremmo dovuto cogliere da tempo, dalla Georgia alla Moldova, all’occupazione della Crimea. Aggiungiamo le diverse forme della guerra ibrida e i costanti tentativi di manipolazione delle opinioni pubbliche europee. Se Putin dovesse cogliere un successo in Ucraina, sul campo o al tavolo dei negoziati, tutto ci dice che non si fermerà. Di qui la necessità di una capacità di deterrenza europea».

Il Pd a Strasburgo si è diviso, un errore a suo parere astenersi sulla risoluzione?
«Io penso di sì, e lo dico con assoluto rispetto dei colleghi che hanno scelto questa soluzione. Non ci sono anti-europiesti, tra noi, come non ci sono guerrafondai. Si è però scelto di vedere il bicchiere mezzo vuoto anziché quello mezzo pieno. Ed è un peccato, perché questo esito consegna la nostra delegazione – o un’ampia parte di questa – a una posizione di isolamento in seno al gruppo socialista, che ha invece deciso di sostenere la risoluzione. Chi l’ha fatto non ha certo inteso firmare un assegno in bianco a Von der Leyen, o rinunciare all’obiettivo della difesa comune: tutt’altro. Da qui si parte per migliorare proprio in quella direzione, esattamente con quell’obiettivo».

E in piazza a Roma, sabato, scenderà un Pd con le idee chiare ?
«Me lo auguro. Io so che ci andrò con le mie idee, che spero risultino chiare».

Chi si dice per l’Europa, a conti fatti, quale Europa ha in mente?
«Abbiamo tutti in mente l’Europa unita, integrata, coesa e federale. Perché è la nostra unica chance di contare qualcosa nel mondo, e di garantire sicurezza e benessere ai nostri cittadini. Ma bisogna sapere che a quel risultato si potrà arrivare per gradi, e non senza fatica. Purtroppo non basta puntare a un risultato per averlo immediatamente in pugno. In mezzo c’è l’azione politica, che richiede costanza e – durante il percorso – la disponibilità a valorizzare anche ciò che è buono, pur senza essere ottimo».

Tempo di chiarezza, nel centrosinistra. Aumentano coloro che chiedono un congresso del Pd per capire le scelte di fondo e la collocazione internazionale. Lei cosa ne pensa?
«Penso che di questi temi ci sia un grande bisogno di discutere, in profondità, perché su argomenti di questa rilevanza un grande partito che aspiri al governo del Paese non può permettersi di non avere una posizione chiara, autorevole, responsabile e raccordata con quella delle forze democratiche europee. Non so se questo equivalga ad un congresso, ma non ho dubbi che ve ne sia la necessità».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.