Il rapporto del Consiglio d'Europa
Giustizia lenta e costosa, ecco i dati che incastrano l’Italia
I problemi della giustizia italiana sono quelli che hanno fatto le prima pagine dei media negli ultimi mesi, ma sono soprattutto quelli che da sempre angosciano cittadini e imprese e cioè la lentezza dei processi e la imprevedibilità degli esiti. Sconcerta che molti magistrati neghino o facciano finta di ignorare che vi sia un problema. Eppure è da anni che la Banca Mondiale e il Consiglio d’Europa mostrano dati davvero impressionanti per l’Italia e ci dicono che tribunali inefficienti sono fra i fattori principali che rendono difficile fare impresa in Italia, frenano l’erogazione del credito e comprimono la crescita dell’economia. Dunque, a scanso di non casuali amnesie, ricordiamoli questi dati. Il rapporto 2020 della Banca Mondiale colloca l’Italia al 122esimo posto su 190 paesi per la categoria “Tempo e costi delle controversie”. Il problema sono i tempi che, se sono infiniti, fanno lievitare anche i costi per gli avvocati: per far valere un credito in giudizio da noi occorrono oltre tre anni, il doppio della media dei paesi avanzati.
La critica che si muove a questo indicatore è che riguarda solo il tribunale civile di Roma. E allora vengono in aiuto i dati del Rapporto redatto dal Consiglio d’Europa, con l’approvazione delle autorità nazionali. (Cepej). Questo rapporto dice due cose molto chiare. La prima riguarda la durata media dei processi: 2.656 giorni per i tre gradi di giudizio, ossia sette anni e tre mesi. In Francia e Spagna i processi durano la metà (poco più di tre anni), in Germania circa un terzo (2 anni e 4 mesi). In Europa siamo all’ultimo posto dopo la Grecia. I valori medi – si badi, medi – delle Corti d’Appello e quelli della Cassazione sono al di fuori del parametro “Pinto”, cioè oltrepassano quella che la legge indica come la ragionevole durata del processo, al di là della quale le parti hanno diritto a chiedere un risarcimento allo Stato. La seconda informazione riguarda la spesa per la giustizia. Per l’intero sistema (incluse le carceri, il Ministero, l’Avvocatura dello Stato ecc.), l’Italia spende lo 0,5 per cento del Pil, come la Germania e la Spagna e più della Francia (0,4%). Anche in termini di spesa pro capite (152 euro) siamo in linea con gli altri paesi, ben sopra la Francia (140) e la Spagna(129).
Dunque non è vero che il problema è l’insufficienza delle risorse. Anche i dati Eurostat, relativi alla sola spesa per il funzionamento dei tribunali, indicano che l’Italia è in linea con l’Europa: negli ultimi dati disponibili, la spesa è allo 0,33 del Pil (5,8 miliardi), come la Spagna, un po’ meno della Germania (0,39%), ma più di Olanda, Francia e Svezia e Finlandia (tutte fra 0,26% e 0,28), più dell’Irlanda (0,21) e molto più della Danimarca che addirittura spende meno della metà dell’Italia (0,15%). Anche la spesa per il personale è allineata all’Europa: circa due terzi del budget dei tribunali riguarda la spesa per il personale. Ma qui si vedono alcune differenze, perché gli stipendi dei magistrati sono notevolmente più alti e il personale è più scarso. Il rapporto Cepej ci dice infatti che lo stipendio dei magistrati, che in Italia dipende solo dall’anzianità di servizio, è piuttosto alto a inizio carriera e molto alto, al terzo posto in Europa, per un magistrato al top della carriera.
Invece, per numero di giudici e PM, l’Italia si colloca al 24esimo posto (sui 28 paesi anche extra Ue considerati nel rapporto Cepej), con sole 15 unità ogni 100mila abitanti: meno della metà rispetto alla media Europea (28). Vi sono però paesi che hanno meno magistrati di noi e una giustizia molto migliore: Francia (con 14 magistrati), Regno Unito (con solo 7), Irlanda (con 6). Anche lo staff amministrativo è scarso: siamo al 23esimo posto con sole 52 unità ogni 100mila abitanti, contro una mediana Europea pari a 69. Ma anche qui stiamo ben sopra Francia (34), Regno Unito (29) e Irlanda (23). Si obietta anche che i problemi dell’Italia non dipendono dalla pessima organizzazione della giustizia, ma dalla complessità delle leggi e dalla litigiosità degli italiani. Questo in parte è vero, ma è smentito nella sostanza dalla grandi differenze che ci sono fra regioni del paese. In primo grado la durata media di un procedimenti civile è di 518 giorni al Sud, 370 al Centro e 305 al Nord.
Nelle Corti d’Appello, le prime quattro posizioni della classifica sono occupate dalla Corti d’Appello di Trento (254 giorni), Torino (261), Trieste (321) e Milano (326). Tra le ultime cinque posizioni troviamo la Corte d’Appello di Roma (948) e le Corti del Sud; Taranto (1005), Palermo (861), Napoli (772), Caltanissetta (732). Questi dati ci sembrano sufficienti per dire che il nostro sistema, specie al Sud, ha urgente bisogno, come qualunque grande organizzazione, di confrontassi con alcune questioni chiave che per i magistrati sono quanto mai indigeste: valutazione, merito, produttività, tempi, divisione del lavoro, outsourcing, organizzazione. In sostanza, nel pieno rispetto dell’indipendenza ed anzi a sua tutela, il sistema ha bisogno di massicce dosi di managerialità.
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