Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sul rinnovo di Josè Mourinho. Contrario il giornalista Alberto Gafurri, favorevole il giornalista Luciano Nobili consigliere regionale Lazio.

Qui il commento di Luciano Nobili:

Poco prima di Natale, l’As Roma ha reso noti i numeri del proprio bilancio. Un quadro complesso ma con numeri che certificano un andamento sicuramente positivo, a partire dalle perdite che sono state dimezzate. Se il bilancio sorride, è sicuramente frutto di un attento lavoro societario. Ma a guardare bene i numeri si scopre che le tre voci che hanno contribuito maggiormente al risultato positivo sono: incassi al botteghino con i continui sold out all’Olimpico (+23,7 milioni), risultati nelle competizioni europee (premi UEFA triplicati da 6 a 18 milioni) e ricche plusvalenze dalla vendita di giocatori giovani lanciati e valorizzati (20 milioni solo dalle cessioni di Tahirovic, Volpato e Missori). Queste tre fondamentali voci di entrata hanno un nome e un cognome: Josè Mourinho. Inconfutabilmente è il carisma del portoghese che ha reso il tutto esaurito un’abitudine all’Olimpico, anche per partite non di cartello, anche dopo cocenti sconfitte (si va verso il sold out persino per Roma-Cremonese di Coppa Italia, il 3 gennaio), un caso unico nel calcio europeo.

Così come è Mourinho ad aver portato la Roma a due finali consecutive (mai accaduto nei suoi 96 anni di storia) ed è sempre lui – sfruttando una debolezza di rosa in opportunità – ad aver trasformato dei semi sconosciuti ragazzini della Primavera in uomini e in calciatori. Cessioni dolorose che hanno permesso alla Roma di superare i vincoli dell’Uefa. Basterebbero questi dati a rendere pressoché automatico il rinnovo dello Special One, e ridicolo qualsiasi tentativo di ridimensionare il suo lavoro. Ma non c’è solo il bene che Mourinho ha fatto ai conti della Roma. C’è il bene che ha fatto alla Roma, proiettandola, con la sua sola presenza in panchina, dove merita di stare, tra le grandi. Con un percorso entusiasmante che ha portato al primo trofeo per i giallorossi, dopo 18 anni di astinenza, e che senza lo scandaloso arbitraggio di Taylor a Budapest, avrebbe portato anche alla conquista dell’Europa League lo scorso anno. Ma ancora di più, c’è il bene che Mourinho ha fatto ai romanisti. Il romanismo è uno stato dell’anima unico, fatto di vittorie e di rovesci, di passione, chilometri, amore, lacrime, gioie e dolori. Il mister ci ha unito, come una “familia”, termine che ama ripetere per descrivere quell’empatia tra allenatore, team e tifosi che è riuscito a costruire.

“Familia” come quell’amore viscerale che i romanisti gli tributano perché lo riconoscono come il condottiero che stavano aspettando: un amore, un’identificazione che ha come possibile confronto solo quello per Francesco Totti. Che non a caso, Mourinho vorrebbe al suo fianco. Ma anche la Roma – e Roma – devono aver cambiato Josè. Altrimenti non si spiegherebbe il no ad un’offerta indicibile arrivata dall’Arabia Saudita, non si spiegherebbe questo attaccamento ad una delle sfide più difficili della sua carriera o il coraggio con cui deve far fronte ogni domenica a torti arbitrali e ad una rosa inadeguata agli obiettivi che la Roma si pone. Fatta eccezione per due eccellenze come Dybala e Lukaku, che – sia chiaro – sono qui solo per lui. E quel cambiamento che lo ha portato a scegliere Roma, oggi gli fa fare un passo in più. E gli fa dire: voglio restare qui. Non voglio un euro di più e voglio restare qui. Per provare a fare qualcosa che non hai mai sperimentato prima: rinunciare ai grandi nomi e puntare sui giovani. Un’occasione che sarebbe da pazzi lasciarsi sfuggire. Insomma, che vogliamo affidarci alla razionalità dei bilanci o all’irrazionalità dei sentimenti, che vogliamo valutare il suo lavoro dal punto di vista aziendale o da quello sportivo, che si voglia scegliere con la testa o col cuore, la risposta possibile è una soltanto: Mou non si tocca. Josè Mourinho è testa, anima e patrimonio di questa Roma e può diventare per noi quello che è stato nel tempo Sir Alex Ferguson per il Manchester Utd. Anche perché se consideri un problema il quinto allenatore più vincente della storia del calcio, forse il problema sei tu.