Il Sì & No del giorno
Giusto sospendere la preghiera islamica a scuola: un criterio di fallace eguaglianza non aiuta i figli delle minoranze

Fondata nel 2014, la Michaela Community è una scuola inglese, situata a Wembley Park, nella Greater London, per giovani dagli undici ai diciotto anni, retta da anni con pugno di ferro da Katharine Birbalsingh.
Le regole sono severissime e chiare: disciplina assoluta, nei corridoi si deve osservare il silenzio, le trasgressioni vengono sanzionate con metodi, come l’isolamento in una stanza, già assurti agli onori della cronaca.
E la direttrice è ora al centro di un altro caso assai spinoso, divenuto epicentro di incandescenti polemiche.
La Birbalsingh ha infatti vietato a una studentessa islamica di pregare, una preghiera a cui si stavano unendo anche altri studenti.
Nella stessa misura in cui ho difeso il diritto di preghiera degli islamici a Monfalcone, con la stessa intensità difendo la decisione della direttrice. Innanzitutto, visto che viviamo ormai nell’epoca della complessità e della necessitata contestualizzazione, spesso usate come meri espedienti retorici, credo in questo caso sia davvero necessario contestualizzare la vicenda.
Il plesso scolastico è situato in una area cittadina disagiata e malfamata, ed è frequentato da figli di migranti che non parlano come prima lingua l’inglese, con non banali problematiche di integrazione culturale e sociale e derive evidenti di fanatismo religioso che in maniera crescente tenta di predare questi giovani.
Uno studente su quattro, come se non bastasse, proviene da un milieu familiare ben sotto la soglia della povertà.
In questo contesto, il divieto della preghiera non si inserisce in una discriminazione religiosa o in un eccesso di rigidità e di formalismo istituzionale, aspetti questi su cui si esprimerà l’Alta Corte investita del caso dai familiari della ragazza islamica: è più un rigido tentativo di disarticolare un tribalismo sociale, iper-identitario, che finisce con il produrre comunità chiuse, autoreferenziali, impermeabili a ipotesi di piena e effettiva integrazione.
D’altronde che l’Islam come vessillo politico e giuridico, più che semplicemente religioso, rappresenti un tema assai serio in Inghilterra lo si è visto in questi ultimi mesi, con bandiere jihadiste e piazze e strade trasformate in riedizioni delle sfilate di Hamas.
Predicatori che inneggiano alla guerra santa e che nei loro sermoni e nelle loro moschee rivendicano una interpretazione anti-moderna e anti-occidentale della dottrina coranica, sovente inneggiando anche alla violenza e prendendo le distanze da qualunque forma di integrazione e di vera coabitazione.
E d’altronde che la decisione della Birbalsingh colga nel giusto ci è testimoniato da due fattori, impossibili da non considerare.
Innanzitutto il divieto oltre che dalle polemiche e dal giudizio promosso per discriminazione è stato accompagnato da serie minacce di morte indirizzate contro la direttrice.
Segno palese che il problema c’è, esiste ed è di strettissima attualità.
Il secondo elemento è che le statistiche e i dati forniti dall’amministrazione scolastica britannica testimoniano in maniera cristallina come e quanto il rigore imposto nella scuola produca risultati stupefacenti.
Studenti che provengono da famiglie in cui l’inglese è raramente e spesso malamente parlato, raggiungono livelli di eccellenza, guadagnandosi un futuro nella società inglese e accedendo, in percentuali sorprendenti pari all’82% degli studenti che riescano a terminare il corso di studi, alle Università d’élite del Paese.
Non quindi un atto di autorità fine a se stesso, e di certo nemmeno un atto vessatorio, razzista o discriminatorio, posto che la stessa direttrice è di origini non europee: il rigore, per quanto radicale, non dovrebbe mai essere confuso con il razzismo.
La Birbalsingh è d’altronde nota per sostenere un assunto che alla luce di quanto sta avvenendo in scuole e università di ogni latitudine mi sembra difficilmente confutabile: un criterio di fallace eguaglianza non aiuta i figli delle minoranze etniche a integrarsi, porta solo a un livello generale dell’educazione tendente alla mediocrità.
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