I dati sono chiari: i grandi marchi, senza saperlo, stanno finanziando – si parla di centinaia di milioni di euro – la disinformazione nell’est europeo, in particolare pro-russa, portando a forti condizionamenti sull’opinione pubblica che noi italiani conosciamo molto bene.

A rivelarlo nei giorni scorsi è stata una ricerca intitolata “Finanziare la disinformazione nei Balcani: come i marchi internazionali sostengono l’agenda della Russia”, realizzata da Balkan Free Media Initiative, una ONG con sede a Bruxelles e Center for Research, Transparency and Accountability (CRTA), un’organizzazione della società civile di Belgrado.

Sotto accusa è il cosiddetto “programmatic advertising”, la pubblicità che troviamo quotidianamente navigando su internet, su siti di informazione e non solo. Tipicamente, le grandi aziende acquistano pubblicità tramite i “centri media”, agenzie digitali che a loro volta si rivolgono a intermediari per acquistare spazi pubblicitari sui siti internet: evidentemente, in questi passaggi di mano, non c’è alcun controllo su dove i grandi brand fanno pubblicità.

La ricerca si concentra in particolare su Serbia e Bulgaria, dove su molti siti di notizie e di reti televisive, tutti ad altissimo traffico, pubblicità di marchi notissimi in tutto l’Occidente sono ospitati in articoli di disinformazione, quasi sempre pro Cremlino, in alcuni casi anti-sionisti: “l’Unione europea zombie di Hitler sta cercando di vendicarsi per il 1945”, si legge in uno screenshot dove compare un marchio di una nota catena di supermercati presente in tutta Europa, ma anche “Gli americani spingono il mondo nel caos”, oppure “Il massacro di Bucha è stato organizzato, i russi non sono colpevoli di nulla”, o ancora ““L’Ucraina sta cercando di coinvolgere il maggior numero di parti possibili nel conflitto”.

Brand notissimi, presenti anche in Italia, indirettamente finanziano questa disinformazione, perché procurano reddito per i siti di notizie che la diffondono. “Dall’inizio della guerra, questi siti hanno pubblicato costantemente disinformazione a favore del Cremlino, tra cui l’affermazione che le forze armate ucraine uccidono deliberatamente i civili, che l’Ucraina è un Paese nazista e che la Bulgaria diventerà un partecipante forzato alla guerra”, afferma il rapporto.

Obiettivo di chi lo ha realizzato è ovviamente quello di ottenere una forte revisione delle politiche di controllo delle grandi aziende che investono in pubblicità in quei Paesi, anche perché – è un paradosso – è la stessa presenza di quei grandi e famosi brand a legittimare la qualità del sito che li ospita: e se il sito ospita disinformazione, la frittata è fatta.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva