Tutti cercano di capire quali saranno le prossime mosse di Trump e se prenderà o meno parte a un conflitto che il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha definito “il lavoro sporco”, fatto da Israele per tutto l’Occidente. Ieri lo stesso tycoon ha lanciato messaggi abbastanza netti. Ha usato il “noi” quando ha parlato di chi controlla i cieli iraniani. Ha detto di sapere dove si nasconde Khamenei, ma che non ha intenzione (per ora) di eliminarlo. E nel pomeriggio è stata annunciata una riunione nella Situation Room con il team della sicurezza nazionale per decidere se entrare in guerra e lanciare i suoi bombardieri contro il sito di Fordow e tutti gli impianti nucleari. Così da mettere fine al programma di Teheran e imporre la resa incondizionata a Khamenei.

Vladimir Putin osserva tutto con molta attenzione. All’ombra del Cremlino, il presidente russo sta provando in tutti i modi a convincere il suo omologo alla Casa Bianca, Donald Trump, che può essere proprio lui l’uomo giusto per mediare tra Iran e Israele. Dall’Europa è già arrivato un fitto coro di “no”, visto che da qualche anno proprio lo “zar” ha invaso l’Ucraina e per i capi di Stato e di governo europei una sua mediazione apparirebbe fuori luogo. Ma a Mosca non hanno alcun interesse a smentire The Donald. Impossibile dire se mai la Russia diventerà decisiva. Anche perché la crisi dell’Iran e della sua sfera di influenza (come dimostrato dal crollo di Bashar al Assad in Siria) dimostrano anche la difficoltà del Cremlino a tenere in piedi le sue principali alleanze mediorientali. La strategia di Putin, in questi ultimi mesi, risulta fortemente lesa da questo duello tra Benjamin Netanyahu e la Guida suprema iraniana, Ali Khamenei. Il presidente russo sta perdendo il suo miglior partner della regione, se si esclude la Turchia che è sempre un Paese della Nato. E i raid israeliani su Teheran rischiano di creare un terremoto pericoloso anche per gli equilibri mediorientali dello zar.

Ieri, i caccia dell’Idf hanno centrato di nuovo diversi centri di comando dei pasdaran e delle forze armate iraniane. Un attacco informatico compiuto da un gruppo hacker, collegato in passato allo Stato ebraico, ha colpito le banche vicine ai Guardiani della Rivoluzione. Durante la notte, i caccia hanno centrato il quartier generale dei pasdaran a Teheran e ucciso Ali Shamdani, che da quattro giorni era diventato il nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito e che era considerato l’uomo più vicino a Khamenei. I siti nucleari sono continuamente presi di mira dalle forze aeree di Israele. E ieri l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha confermato che nell’impianto di Natanz risultano impatti diretti dei missili nelle sale delle centrifughe per arricchire l’uranio.

L’assedio nei confronti di Khamenei è totale. E lo dimostrano anche le parole del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che ha ammonito la Guida suprema su una possibile fine come l’ex leader iracheno Saddam Hussein. “Metto in guardia il dittatore iraniano dal continuare a commettere crimini di guerra e a lanciare missili contro i civili israeliani” ha detto Katz, “farebbe bene a ricordare il destino del dittatore del Paese vicino all’Iran che ha scelto la stessa strada contro lo Stato di Israele”. La tensione sale, con Teheran che ha continuato a lanciare missili contro lo Stato ebraico, rivendicando di avere colpito anche la sede del Mossad a Herzliya, vicino a Tel Aviv.

Putin per ora fa da spettatore. L’uomo che The Donald considera un potenziale mediatore, ma che forse, in questo momento, non ha tutto l’interesse a vedere terminare l’escalation. Da quando Israele ha cominciato a colpire l’Iran e il regime degli ayatollah, infatti, la copertura mediatica sulla guerra in Ucraina si è notevolmente ridotta. E così anche l’attenzione sui raid russi a Kyiv e dintorni. Questo ha permesso alle forze di Mosca di continuare a muoversi indisturbate nei cieli ucraini. E ieri a pagare il prezzo più alto è stata proprio la capitale.

Come ha scritto il presidente Volodymyr Zelensky, nella notte tra lunedì e martedì sono stati lanciati oltre 440 droni e 32 missili. E il ministero dell’Interno ucraino ha registrato la morte di dieci persone a Kyiv e due a Odessa, sempre per un altro raid. Il presidente ucraino ha definito gli attacchi come “puro terrorismo” e ha detto che “il mondo intero, gli Stati Uniti e l’Europa devono finalmente rispondere come una società civile risponde ai terroristi”. Ma mentre il capo dello Stato ha ribadito al summit del G7 in Canada di essere pronto al negoziato, però solo se aumenta la pressione sulla Russia, a Mosca, Putin ora non ha intenzione di fermarsi. Per qualcuno, Trump avrebbe sostanzialmente dato ancora più libertà di manovra allo zar in cambio di un suo disinteresse in Medio Oriente (o quantomeno di un suo aiuto). Washington potrebbe dovere ridurre ulteriormente il suo sostegno militare a Kyiv per dirottare lo sforzo su Israele. E intanto, il presidente russo spera di guadagnare da uno degli eventuali effetti di questa escalation: l’aumento del prezzo del petrolio. Cosa che farebbe entrare ancora più denaro nelle casse del Cremlino.