“Questa non è la mia tomba, è quella di mio figlio”. È partito tutto dalla storia di una donna su Facebook che, dopo un’interruzione terapeutica di gravidanza, pur non richiedendo la sepoltura del feto, ha scoperto che qualcuno lo aveva fatto per lei. Una croce con sopra il suo nome fra centinaia.

“Questo è quello che succede al campo 108 del cimitero Flaminio” spiega Elisa Ercoli, Presidente dell’Associazione Differenza Donna, che ha deciso di vedere con i propri occhi quello che stava accadendo e aggiunge: “Questa è l’ennesimo atto di violenza nei confronti delle donne, e quando questa violenza è istituzionale è ancora più grave”.

"Hanno sepolto mio figlio e messo il mio nome sulle croce, a mia insaputa": viaggio al campo 108 del cimitero Flaminio di RomaLA SCOPERTA: https://bit.ly/3jf7fS9

Pubblicato da Il Riformista su Giovedì 1 ottobre 2020

“È un’azione punitiva, è come dire: lo seppellisco io per te. Trovare il mio nome su quella croce è sinonimo di dire: ecco tu hai abortito, ora tutti lo sanno” racconta Francesca che ieri ha deciso di farsi coraggio e di controllare se fra tutte quelle croci ci fosse anche “la sua”. Lei, come molte altre, ha scelto di procedere – un anno fa – con un’interruzione terapeutica di gravidanza. La donna ha raccontato i dettagli della sua storia: “All’ufficio del cimitero mi hanno stampato un foglio con i dati della salma e mi hanno dato una cartina. Tutto senza il mio consenso e senza che io ne fossi minimamente a conoscenza”.

Presente anche Livia Turco ieri pomeriggio al cimitero di Prima Porta: “Paradossi amari e sconvolgenti, in Italia non puoi trasmettere il nome della madre appena il bambino nasce. Però viene esposto sulla croce del feto, pubblicamente. Se non è questa una violenta penalizzazione delle donne..”

Arriva da Facebook il commento della senatrice Pd Monica Cirinnà, che scrive: “Questo non è accettabile. Gli attacchi alla libertà delle donne riguardo alla scelta di diventare o non diventare madri arrivano ormai da ogni parte, continuamente. La 194 minata da piccole, silenziose, ma insidiose procedure come questa. L’accesso alla RU486 messo in discussione con un uso strumentale della “salute della donna. A oltre 40 anni dall’affermazione della libertà di scelta delle donne, si sta tentando di rimettere tutto in discussione. Non lo permetteremo”.

Giacomo Andreoli e Chiara Viti

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