Il no alle porte girevoli
I dirigenti alla Cartabia: “Il ministero non diventi il rifugio dei magistrati politici mancati”
Magistratura e politica. Una «prospettiva da scongiurare» per «il bene della nostra amministrazione, oltre che per l’autorevolezza e la funzionalità della macchina amministrativa pubblica». Anche i dirigenti della giustizia scendono in campo sul discusso tema del rapporto tra magistratura e politica. Un tema che a Napoli, negli ultimi mesi, è finito al centro di scoppiettanti dibattiti animati dal caso di Catello Maresca, consigliere comunale e magistrato, e dalle considerazioni sia politiche che giudiziarie stimolate dalla riforma a cui il Governo sta lavorando.
Così, in una lettera aperta rivolta alla ministra Marta Cartabia, l’associazione dei dirigenti della giustizia definisce la proposta di riforma «tesa ad accogliere presso il nostro ministero (e forse altri) i magistrati reduci da un’esperienza parlamentare o presso enti locali e, addirittura, coloro che si candidano senza fortuna». L’associazione dei dirigenti parla di «allarme» e «decisa contrarietà» per esprimere le ragioni di un dissenso che si è deciso di esternare con una lettera pubblica. «I magistrati – scrivono i dirigenti della giustizia – non sono, in quanto tali, in grado di ricoprire ogni ruolo. Sono reclutati in base ad un impegnativo percorso volto a selezionare chi è adatto all’esercizio della giurisdizione. Non sono “figli di un Dio maggiore” che li abilita a fare tutto». Inevitabile il confronto con la formazione e l’esperienza di chi sceglie un diverso percorso nell’ambito della pubblica amministrazione ma non nel settore della giurisdizione. «I dirigenti della pubblica amministrazione – si legge nella lettera aperta indirizzata alla ministra Cartabia – attingono il loro sapere e le loro capacità professionali da un percorso completamente diverso. La possibilità di ottenere una posizione presso il ministero, candidandosi ad incarichi politici anche senza successo, determinerebbe una corsa opportunistica, specie da parte di coloro che lascerebbero volentieri una sede lontana (e magari disagiata e gravida di qualche rischio) per tornare a Roma».
La «pletora di ex magistrati – si legge ancora nella lettera – altererebbe la funzionalità dell’apparato ministeriale e creerebbe non poco imbarazzo a tutti», mentre «deve essere prevenuta a priori ogni contiguità che consenta ai magistrati in ruolo, e anche a quelli fuori ruolo il cui numero va per questo drasticamente ridotto, di usare le proprie funzioni come trampolino di lancio verso incarichi politici e di governo, mettendo così a rischio la imprescindibile autonomia e indipendenza della giurisdizione». Secondo l’associazione dei dirigenti della giustizia, «se è rispettabile l’intento di evitare le “porte girevoli” tra politica e magistratura, non si può risolvere il problema spalancando le porte dei ministeri ai magistrati politici mancati: si tratta di un rimedio decisamente peggiore del male che vuole contrastare – scrivono nella lettera i dirigenti della giustizia -. Lesivo della dignità e della necessaria distinzione delle funzioni giurisdizionale, di indirizzo politico, di gestione amministrativa». L’associazione conclude la lettera alla Guardasigilli rinnovando la «piena disponibilità ad ogni interlocuzione che serva a valorizzare il ruolo costituzionale del ministero della Giustizia e della sua dirigenza di ruolo».
Si susseguono, dunque, i no alle cosiddette porte girevoli tra magistratura e politica, e cioè all’idea che un pm o un giudice possano decidere, a un certo punto della loro carriera con la toga, di lanciarsi in politica e poi fare marcia indietro e tornare a lavorare in un Palazzo di giustizia o presso qualunque altro ministero. Sono no che puntano a sostenere l’imparzialità e la credibilità della magistratura e ridimensionarne il potere. Sono no contrari alla toga come trampolino di lancio per ambizioni e incarichi di governo.
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