Nicola Gratteri è uno «sbirro» e anche un po’ «fascista». Parola di Emilio Sirianni, giudice della Corte d’appello di Catanzaro e segretario distrettuale di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe. Le toghe di Md sono pronte alle barricate per impedire che il procuratore di Catanzaro possa diventare il capo della Procura di Napoli. Per capire il motivo di questa reazione è necessario tornare al dibattito di giovedì scorso in Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura dove Gratteri ha avuto quattro preferenze su sei.

Inizialmente, infatti, la presidente della Commissione, la togata di Magistratura indipendente, il gruppo conservatore, Maria Luisa Mazzola, aveva cercato di trovare un accordo su un nome finalmente condiviso ed evitare così le solite spaccature. Mazzola aveva proposto l’ex procuratrice aggiunta di Napoli Rosa Volpe, toga di Md e da molti anni in servizio proprio a Napoli.
Su Volpe, però, ci sarebbe stato il “veto” di Daniela Bianchini, laica di Fratelli d’Italia e molto vicina al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Alfredo Mantovano. A quel punto, vista l’impossibilità di un accordo, è scattato il liberi tutti che ha portato Gratteri ad avere i voti della stessa Mazzola, del togato ‘senza correnti’ Andrea Mirenda, dei laici Bianchini ed Ernesto Carbone (Italia viva).

I togati Roberto D’Auria e Antonello Cosentino, il primo esponente del gruppo centrista Unicost, il secondo del raggruppamento progressista Area, hanno invece votato per il procuratore di Bologna Gimmi Amato e per Volpe. Gratteri, magistrato senza una corrente di riferimento, si è trovato dunque ad avere i voti di Mi che non aveva un proprio candidato su Napoli.
In Plenum, visto poi l’orientamento degli ultimi giorni, ai voti Mi si sommerebbero quelli dei laici di centro destra, di Italia viva e del M5s – tranne del dem Roberto Romboli – consentendo a Gratteri di vincere senza molti patemi. Un vero ribaltone rispetto ad un anno fa quando in occasione della nomina del procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo le cose andarono in maniera molto differente.

Per Giovanni Melillo, che poi risultò vincitore, oltre ai voti dei consiglieri di Area, la sua corrente di riferimento, andarono quelli di due dei tre laici indicati dal M5s, Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati, e di Michele Cerabona, avvocato napoletano e laico in quota Forza Italia. A Melillo, allora procuratore di Napoli, andarono anche le preferenze dei consiglieri di Unicost (la corrente di centro) e quelle dei due capi della Cassazione – il primo presidente Pietro Curzio e il Pg Giovanni Salvi – entrambi di Md. Per Gratteri votarono i suoi colleghi antimafia, i pm Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, gli ex davighiani Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, ed i laici in quota lega Stefano Cavanna ed Emanuele Basile, nonché Fulvio Gigliotti, l’altro laico in quota M5s. A Giovanni Russo, il terzo candidato, i voti dei togati di Mi, la sua corrente, e quello di Alessio Lanzi, l’altro laico in quota Forza Italia.
A sbarrare la strada a Gratteri potrebbero essere ancora una volta le toghe di sinistra, questa volta con una attività di “moral suasion” per rompere il fronte dei laici. Cosa c’è di meglio, ad esempio, nel mettere in evidenza l’approccio non proprio “garantista” di Gratteri? Un tema destinato a fare breccia in questo momento di sovraesposizione togata.

«Gratteri è un fascistone di merda, capito, vuole che i piccoli spacciatori stiano in galera, i piccoli consumatori stiano in galera, tutto il mondo deve stare in galera a mente sua e la chiave devono darla a lui, lascialo stare che nu fascista del cazzo… Un fascista ma soprattutto è un mediocre e un mediocre è un ignorante ed è un mediocre», era stato il giudizio del giudice Emilio Sirianni, segretario di Md in Calabria. Il piglio decisionista di Gratteri irrita Md. Nel mirino delle toghe progressiste , all’indomani del voto sulla Procura di Firenze, anche il vice presidente del Csm Fabio Pinelli. «L’esito della votazione ha acquisito una netta portata politica a causa della scelta del vicepresidente di rompere la prassi di astensione finora seguita; scelta sorprendente che disattende la linea finora tenuta e che Pinelli ha giustificato con la “importanza” della nomina. Forse avrebbe fatto bene almeno a chiarire, dopo che il Consiglio ha appena deciso per esempio le nomine del procuratore di Reggio Calabria e del presidente del tribunale di Torino, il significato per lui di questo sostantivo», sottolineano le toghe progressiste in un comunicato. Della serie, non è facile accettare le sconfitte.

Paolo Pandolfini

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