Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri è in pole per diventare il capo della Procura della Repubblica di Napoli. Ieri mattina, la Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura ha espresso nei suoi confronti quattro voti sui sei disponibili. Hanno votato per Gratteri la togata di Magistratura indipendente, il gruppo moderato delle toghe, Maria Luisa Mazzola, il togato ‘senza correnti’ Andrea Mirenda, i laici Daniela Bianchini ed Ernesto Carbone, rispettivamente in quota Fratelli d’Italia ed Italia viva. I rimanenti due voti, quelli dei togati Roberto D’Auria e Antonello Cosentino, il primo esponente del gruppo centrista Unicost, il secondo del raggruppamento progressista Area, sono andati invece al procuratore di Bologna Gimmi Amato e alla ex procuratrice aggiunta di Napoli Rosa Volpe.

Gli altri candidati, Aldo Policastro, procuratore di Benevento, e Francesco Curcio, procuratore di Potenza, non hanno preso alcun voto. Come da copione, dunque, le correnti della magistratura hanno votato per i rispettivi candidati, essendo sfumato il tentativo di arrivare in Plenum con una candidatura unitaria. La differenza, allora, la faranno i dieci componenti laici. Per Gratteri, salvo improbabili cambiamenti, dovrebbe esserci un vero plebiscito.

Tranne il laico del Pd Roberto Romboli, il voto dei restanti laici si preannuncia compatto per il procuratore di Catanzaro che potrà contare in Plenum su uno schieramento quanto mai trasversale: i quattro laici di FdI, il laico di Forza Italia Enrico Aimi, il renziano Carbone, ed il laico pentastellato Michele Papa. Senza una corrente di riferimento, dopo aver incassato il consenso dei togati di Mi, Gratteri potrebbe comunque essere votato da altri togati oltre all’indipendente Mirenda.

La Procura di Napoli è scoperta da più di un anno, da quando Giovanni Melillo è stato nominato procuratore nazionale antimafia battendo proprio Gratteri. Magistrato, come detto, dal consenso quanto mai trasversale, negli anni si è conquistato una grande visibilità. Legato alla sua terrà dove ha sempre prestato servizio è ben voluto dalle forze di polizia. Sul fronte delle indagini non ha mai fatto sconti avendo indagato sia su esponenti di centro destra, come Giancarlo Pittelli (FI), che di centro sinistra, come l’ex governatore Mario Oliverio (Pd).

Nel 2014 era in corsa per diventare ministro della Giustizia ma la nomina sfumò per il ‘veto’ dei suoi colleghi procuratori, ad iniziare da Giuseppe Pignatone, capo della Procura di Roma, con l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano. Come raccontò egli stesso qualche anno fa, il giorno prima della formazione del governo aveva ricevuto la telefonata di Graziano Del Rio per essere convocato con urgenza a Roma in quanto il premier Matteo Renzi, che non lo aveva mai conosciuto di persona, voleva parlarci. L’incontro durò due ore. «Mi fece un interrogatorio», dirà Gratteri, prima di ricevere la proposta di Renzi di fare il Guardasigilli. Gratteri pose solo una condizione, quella di aver ‘carta bianca’ al Ministero. Renzi accettò. La notizia si diffuse in tempo reale e, sempre in tempo reale, il Quirinale verrà preso d’assalto da parte dei procuratori più importati del Paese e di alcuni esponenti di primo piano dei gruppi associativi delle correnti che vedevano come il fumo negli occhi la possibilità che Gratteri si trasferisse a via Arenula. Furono ore concitate è la nomina di Gratteri evaporò. Al suo posto venne confermato il dem Andrea Orlando che ricoprì in tal modo l’incarico di ministro della Giustizia durante tutta la legislatura, con i governi Letta, Renzi e Gentiloni.

Prima di quell’episodio e prima ancora di essere nominato procuratore di Catanzaro, Gratteri aveva cercato di essere nominato procuratore di Reggio Calabria. Per quel posto, lasciato libero da Pignatone, avevano fatto domanda anche Federico Cafiero De Raho, all’epoca procuratore aggiunto a Napoli, e Michele Prestipino, l’altro procuratore aggiunto di Reggio. Il veto venne messo dalle toghe di Magistratura democratica che non hanno mai avuto grande considerazione nei suoi confronti.

Rimase celebre il dialogo fra il sindaco di Riace Mimmo Lucano ed il giudice Emilio Sirianni, segretario distrettuale di Md. Lucano, poi arrestato e condannato in primo grado a tredici anni di carcere per la vicenda relativa alla gestione dei migrati nel piccolo paese della costa ionica calabrese, si confidava spesso con Sirianni che, oltre a fornire ‘consigli’, era durissimo con i suoi colleghi. «Gratteri è un fascistone di merda, capito, vuole che i piccoli spacciatori stiano in galera, i piccoli consumatori stiano in galera, tutto il mondo deve stare in galera a mente sua e la chiave devono darla a lui, lascialo stare che nu fascista del cazzo…un fascista ma soprattutto è un mediocre e un mediocre è un ignorante ed è un mediocre», disse in una telefonata Sirianni che, qualche mese fa è stato rimosso dall’incarico di presidente di sezione dal Csm che ha ritenuto la toga calabrese non più nelle condizioni di continuare a svolgere il mandato con «equilibrio» ed «imparzialità».

«Gratteri in questo momento è l’unico magistrato effettivamente in prima linea contro la criminalità organizzata, in particolare l’ndrangheta, più pericolosa e temibile che esiste», disse invece di lui il pm antimafia Nino Di Matteo. «È come se la storia non ci avesse insegnato nulla», replicò Sebastiano Ardita, altro pm antimafia, criticando la decisione di non mandarlo alla Procura nazionale antimafia. «La tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento», aggiunse Ardita. Altri tempi.

Paolo Pandolfini

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