Nicola Gratteri è pronto a candidarsi, seguendo le orme di Nino Di Matteo, altro pm antimafia, alle prossime elezioni del Consiglio superiore della magistratura. La notizia circolava da giorni fra le toghe e l’altra sera, grazie all’ospitalità di Lilli Gruber su La7, il procuratore di Catanzaro ha deciso di rompere gli indugi in diretta tv affermando di non escludere per il futuro un suo ruolo a Palazzo dei Marescialli.

Rimasto scottato per l’incarico di procuratore nazionale antimafia, l’elezione al Csm sarebbe per Gratteri l’occasione della rivincita nei confronti dei colleghi che non hanno voluto valorizzare la sua professionalità. Il magistrato calabrese durante la trasmissione ha infatti sottolineato molte volte di essere il pm più esperto al mondo nel contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata, in particolare di stampo ‘ndranghetista. Il prestigioso cv non ha, però, convinto il Plenum del Csm che gli ha preferito all’inizio del mese il felpato Giovanni Melillo, procuratore di Napoli, abituato a frequentare i palazzi del potere essendo stato anche capo di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando e che difficilmente durante la conferenza stampa che accompagnò la retata dell’indagine Rinascita-Scott avrebbe potuto dire, come invece fece Gratteri, che «era importante realizzare un sogno, fare la rivoluzione, quella di smontare la Calabria come un treno dei Lego e rimontarla piano piano».

«Gratteri in questo momento è l’unico magistrato effettivamente in prima linea contro la criminalità organizzata, in particolare la ‘ndrangheta, più pericolosa e temibile che esiste», aveva affermato Di Matteo, suo grande sponsor. «Sono state acquisite notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto: in questa situazione una scelta eventualmente diversa suonerebbe inevitabilmente come una bocciatura e non verrebbe compresa da parte dell’opinione pubblica», aveva aggiunto, inascoltato, Di Matteo. «È come se la storia non ci avesse insegnato nulla», disse poi Sebastiano Ardita, altro pm antimafia, secondo cui «la tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata».

Gratteri aveva metabolizzato lo smacco con la vicinanza delle forze di polizia e della popolazione calabrese. Alla bocciatura per la Dna, potrebbe seguire la beffa che prende il termine tecnico di ‘decadenza’. Fra poco meno di due anni, ad aprile del 2024, Gratteri terminerà l’incarico di procuratore di Catanzaro, tornando ad essere un sostituto. ”Il primario che torna ad essere un infermiere”, secondo il paragone non proprio felice di Gratteri dal momento che i magistrati si dovrebbero distinguere fra loro solo per funzioni. A differenza dell’elezione di Di Matteo, il quadro è cambiato. Eliminato il collegio unico nazionale, Gratteri dovrà trovare i voti fra i colleghi degli uffici giudiziari calabresi e siciliani con i quali i rapporti non sono sempre stati idilliaci. Il rischio doccia fredda nel segreto dell’urna è quindi dietro l’angolo.

Se dovesse andar male anche l’elezione al Csm rimarrebbe la Procura di Napoli che si è liberata. Ma è prevedibile che per quell’incarico ci sarà una lunghissima lista di candidati. E poi la nomina dipenderebbe sempre dal Csm dove le correnti avranno ancora più potere. La magistratura dopo Palamara non ha voluto “voltare pagina”, ha in conclusione aggiunto Gratteri, ricordando che “Palamara aveva un voto: per nominare un procuratore o un presidente di Tribunale, ci vogliono 13 voti. Palamara poteva essere tanto bravo, tanto intelligente da convincerne altri 5, ma gli altri 7? Io non giudico se è giusto o sbagliato quello che è Palamara, però erano tante le persone, che avevano il suo stesso potere contrattuale”.