Oggi in Italia quando si parla di “centro” in politica ci si riferisce spesso a una terra di mezzo tra destra e sinistra, abitata principalmente da due categorie di figure. Da un lato ci sono gli “ex” – reduci di ruoli passati, in attesa di tempi migliori – che piacciono a una nicchia nostalgica del secolo scorso, ignara della velocità del cambiamento globale e dell’impossibilità di tornare indietro; dall’altro troviamo brillanti personalità in buona fede, impegnate a codificare la realtà e a proporre soluzioni pensate e ragionevoli per “salvare il paese”.

Tuttavia queste figure finiscono spesso per apparire come profeti distanti, intenti a “catechizzare” la società, ma estranei alle fatiche quotidiane degli elettori medi. Il risultato è quello di apparire più “in alto” che al centro: lontani, paternalistici e sempre meno credibili. Parlano di bilanci, globalizzazione e vincoli internazionali, ma raramente toccano i sentimenti e le difficoltà vissute ogni giorno dai cittadini. E, ancor più grave, hanno esaurito la propria credibilità, con progetti naufragati più per narcisismo che per veri limiti politici. Nel frattempo, agli estremi, il populismo avanza con un approccio opposto ma altrettanto problematico: chiede incessantemente agli elettori “che volete?”, promettendo soluzioni facili e immediate. I populisti trasformano le campagne elettorali in una fiera dei sogni, dove ogni desiderio viene trasformato in promessa, scaricando del tutto la responsabilità di governare e offrendo solo illusioni.

L’altra idea di centro

In questo panorama il vero centro – quello dentro la società – sembra abbandonato. Ma esiste un’altra idea di centro, una che alcuni – come Arturo Parisi, Giuliano Amato e Luca Diotallevi – hanno recentemente in parte suggerito: non uno spazio intermedio tra destra e sinistra, ma un modo diverso di vivere e interpretare la politica. Un centro che abita il cuore della società, che si sporca le mani, che costruisce relazioni viscerali con le persone senza giudicarle. Non si tratta di chiedere “cosa vuoi?” né di imporre “cosa devi fare”, ma di lavorare insieme agli elettori stessi per identificare problemi e priorità e trovare risposte condivise.

Questo metodo di fare politica esiste già ed è spesso rappresentato dai sindaci, nati dalla migliore riforma istituzionale degli ultimi 40 anni. I sindaci non possono permettersi il lusso di essere distanti, perché il loro ruolo li obbliga a vivere al centro della realtà. Il suono del citofono li richiama all’ordine, le richieste dei cittadini bussano direttamente alla loro porta. Devono entrare nelle scuole, nei mercati, nelle fabbriche e nei quartieri più difficili. Devono ascoltare chi produce ricchezza e chi fatica a sopravvivere. E, soprattutto, devono agire.

I sindaci vincono perché costruiscono relazioni, non solo programmi. Occorre rinnovare e riconoscere il fondamentale ruolo delle interazioni, della tessitura di relazioni, basata sulle connessioni interpersonali. Da queste relazioni nasce un metodo politico capace di affrontare i problemi senza paternalismo né ideologia, con una capacità di ascolto che li rende leader autentici, lontani dagli estremismi e vicini ai bisogni della comunità. Sono interlocutori credibili, concreti e riconosciuti, capaci di promuovere azioni che cambiano la vita delle persone.

Non sorprende che i sindaci siano sempre più protagonisti della politica nazionale, come dimostrano figure come Decaro, Gori, Bucci, Nardella, Tesei, De Pascale, Manfredi e Sala. Il loro successo non deriva da un equilibrio astratto tra opposti, ma dalla capacità di rappresentare il “centro della realtà”. Un centro che non idealizza né giudica, ma che dialoga, ascolta e affronta la complessità senza arroganza. Ed è proprio questo metodo di fare politica, immerso al centro e dentro la società, che dovrebbe trovare spazio nel centrosinistra, permettendogli di rigenerarsi, ritrovare il senso della sua missione e tornare a essere maggioranza nel paese. Un centrosinistra che si appropria di questo metodo non deve temere di contaminarsi con la realtà; al contrario, deve abbracciarla, plasmarla e orientarla con una visione inclusiva, pragmatica e non moralizzatrice.

La politica di cui abbiamo bisogno non spreca tempo a cercare una definizione ideale o a calcolarne la posizione millimetrica su un asse lineare delimitato dagli opposti. Dedica, invece, le sue energie a riconoscere e promuovere il valore delle interazioni, delle relazioni e delle connessioni. Il centro non può essere una zona neutrale o un altare per prediche dall’alto. Deve tornare a essere il luogo, o il nodo vitale, dove si incontrano i bisogni, i sogni e le sfide del paese. È lì che l’Italia vive, ed è lì che si costruisce il futuro.

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Pugliese di nascita, milanese d’adozione, cosmopolita per vocazione. Ho ancora il garofano rosso nel taschino, osservo, critico, rilancio o semplicemente rompo. Epicureista e razionalista convinto. Segretario dell'associazione Upward.