Se lo dice il ministro di giustizia. Se lo afferma un guardasigilli che è stato pubblico ministero per quarant’anni. Se lo garantisce uno il cui ruolo come membro del governo è l’unico citato in Costituzione. Dovremmo non credergli? Ecco perché siamo convinti del fatto che abbia detto il vero, quando Carlo Nordio ha raccontato dell’esistenza del “fascicolo virtuale” e del “fascicolo clonato”. E a noi sono venute in mente subito due inchieste. Una che dura da 25 anni e ha gli ultimi sviluppi a Firenze, con la sottoposizione a indagini del generale Mori. L’altra, che è esplosa il 7 maggio a Genova con l’arresto del governatore Giovanni Toti, e la scoperta che era “spiato” da quattro anni.

Che cosa succede a Firenze, da farci sospettare un caso di “fascicolo clonato”? Capita che ci sia un procuratore aggiunto, Luca Tescaroli, che in realtà sarebbe stato promosso come numero uno a Prato, dove oltre a tutto in tribunale sono sotto organico, ma rimane ostinatamente aggrappato alla “sua” inchiesta. Quella che avrebbe dovuto inchiodare per sempre la reputazione di Silvio Berlusconi, insieme a Marcello Dell’Utri, come mandante delle stragi più sanguinose d’Italia, quelle di mafia. Il dottor Tescaroli ha iniziato le indagini da giovanissimo a Caltanissetta e le ha continuate da adulto a Firenze a partire dal 2018. Questa ipotesi di reato, coltivata dal pm con l’attenzione di uno storiografo, è stata già archiviata quattro volte. Verso la fine del 2022 si avviava alla quinta chiusura quando era spuntato, come il solito fungo dopo la pioggia, il gelataio Salvatore Baiardo, con annessi Giletti e la sua trasmissione, e la storia di una foto mai vista del fondatore di Forza Italia con il boss Graviano, e poi il nulla. Arriviamo al 2024 e archiviamo, dunque? Anche perché ormai il dottor Tescaroli dovrebbe andare a Prato. Invece no. “Fascicolo clonato” dunque?

Che cosa è il “fascicolo clonato”? Ce lo ha spiegato Carlo Nordio in un’intervista rilasciata il primo giugno a Hoara Borselli sul Giornale. Riportiamo le sue parole. “È quello del pm che, essendo scaduti i termini per le indagini, deve chiedere l’archiviazione. Lo fa, ma si trattiene un pezzetto del fascicolo, e riprende daccapo, e così per varie volte e vari anni. Intollerabile”. Intollerabile, ma evidentemente possibile. E forse non basteranno le grandi riforme di portata costituzionale come la separazione delle carriere, per ovviare a questo tipo di gravissimi problemi. Cui si aggiungono, nel caso di Firenze, altre due questioni. La prima: per quale motivo il ministero di giustizia, pur conoscendo le gravi mancanze di personale degli uffici giudiziari di Prato, ha consentito al procuratore Tescaroli di rimanere a Firenze per continuare a coltivare questa inchiesta assurda già archiviata quattro volte?

La seconda riguarda il generale Mario Mori, su cui abbiamo scritto ieri con l’editoriale di Francesca Sabella. Per rimanere alle parole del ministro Nordio, sarebbe Mori, indagato per strage, associazione mafiosa, associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico, il “pezzettino” di inchiesta che consentirebbe alla procura di Firenze di continuare all’infinito a tenere aperto un fascicolo aperto 25 anni fa? Oltre a tutto con una grave, e sospetta, se i procuratori di Firenze ce lo consentono, violazione del segreto investigativo. Ne ha fatto ieri oggetto di un’interrogazione al ministro il deputato Roberto Giachetti il quale, facendo nomi e cognomi delle persone presenti all’interrogatorio del generale Mori del 5 giugno (l’avvocato Basilio Milio e i procuratori Luca Tescaroli, Luca Turco, Lorenzo Gesti e il capo dell’ufficio Filippo Spiezia), denuncia come parti di un verbale secretato siano state pubblicate dall’edizione fiorentina del quotidiano La Repubblica del giorno successivo.

Siamo alle solite. Ma vogliamo almeno provvedere a risolvere il caso più clamoroso che sia mai esistito di “fascicolo clonato”? Se la procura di Firenze ha le prove di questo tipo di complotto politico su cui credevamo fosse stata pronunciata la parola fine con la sentenza di un anno fa sulla “trattativa”, chieda i rinvii a giudizio, lasciando perdere i “pezzettini” di fascicolo. E il ministro dia un’occhiata, come ha già fatto per il caso Open, che riguardava Matteo Renzi. E magari metta su un treno per Prato il neo procuratore capo di quella città.

C’è poi il “fascicolo virtuale”. Usiamo di nuovo le parole del ministro Nordio per capire di che cosa si tratta. “È quello che un pm si tiene nel cassetto per indagare una persona, magari ipotizzando un reato inesistente, che gli consenta di chiedere le intercettazioni. Ad esempio contestando l’associazione mafiosa. Poi quel reato cade, ma le intercettazioni restano. È un sistema per eludere la legge”. Ora, noi non vogliamo affermare che i pubblici ministeri di La Spezia, che hanno avviato l’inchiesta o quelli genovesi che l’hanno in gran parte ereditata, abbiano inteso “eludere la legge”.

Ma c’è una domanda che ci frulla nella testa, fin dal giorno degli arresti di Giovanni Toti e altri, un mese fa. Come mai non c’è in carcere o ai domiciliari nessuna delle persone sospettate di associazione mafiosa, sottoposte invece a misure cautelari più lievi? È evidente che l’aggravante mafiosa, non contestata a Toti né agli imprenditori con lui accusati di corruzione, è fragilissima e destinata a cadere in tempi brevi. Ma è stato lo strumento che ha aperto la porta alle intercettazioni, ai trojan e ai controlli che hanno consentito l’esistenza del fascicolo stesso sul governatore Toti. Chissà che cosa pensa, di questo come del caso di Firenze l’ex pubblico ministero Carlo Nordio. E anche il ministro che ci ha informato della possibile esistenza del “fascicolo virtuale” e del “fascicolo clonato”. Forse qualche altra interrogazione potrebbe sollecitarlo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.