Mino Martinazzoli amava dire che “la politica in Italia è sinonimo di politica delle alleanze”. E, del resto, la politica democratica si misura sulla valorizzazione del pluralismo politico e culturale e, di conseguenza, sulla centralità delle alleanze. La prima concreta traduzione di questo assunto fu proprio il governo De Gasperi varato dopo le elezioni del 18 aprile 1948, quando la Dc poteva tranquillamente governare da sola e invece privilegiò la collaborazione con gli altri partiti alleati dell’epoca.

Le coalizioni, al di là delle modalità concrete con cui si sono formate nel corso della storia democratica del nostro paese, non possono trasformarsi in banali e indistinte ammucchiate. O meglio, come si suol dire, in ridicoli pallottolieri. Utili e indispensabili per battere il nemico politico giurato, ma del tutto inadeguati per dispiegare una vera e credibile cultura di governo. Come l’esperienza italiana ha platealmente confermato nel corso degli anni. E questo per una ragione molto semplice: una coalizione è credibile solo se c’è una comune convergenza politica e programmatica. Insomma, l’esatto opposto di ciò che sta facendo, per fare un semplice esempio, l’attuale cartello delle sinistre italiane. Se è vero, com’è vero, che c’è un comune quadro valoriale, culturale e politico delle tre sinistre esistenti – cioè quella radicale e massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella fondamentalista ed estremista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – è altrettanto indubbio che tutto ciò che si aggiunge a questo campo politico appartiene alla sfera del trasformismo e del semplice opportunismo politico. Appunto, la logica del pallottoliere.

Del resto, è appena sufficiente registrare le reazioni quotidiane dei maggiori esponenti delle tre sinistre di fronte all’ultima piroetta politica del capo di Italia Viva, Renzi. Una piroetta del tutto comprensibile per poter mantenere in Parlamento una manciata di “amici cari” in vista delle prossime elezioni politiche ma che prescinde, com’è ormai evidente a tutti, da qualsiasi valutazione politica, culturale e programmatica. In attesa, è solo questione di tempo, che la stessa operazione la faccia anche Calenda. Ovvero dire l’esatto contrario per anni e poi, d’incanto, cambiare radicalmente opinione perché all’improvviso c’è un nemico politico irriducibile che va combattuto con tutte le forze e con tutti i mezzi a disposizione. E il nemico, almeno così pare di capire, sarebbe quello che vuole interpretare e praticare nel nostro paese una “svolta illiberale, una deriva dittatoriale, una torsione autoritaria, una negazione delle libertà democratiche e di espressione e una sostanziale cancellazione dei valori e dei principi costituzionali”.

In sintesi, siamo sempre alla vigilia di una piena e organica regressione fascista. Ecco perché – al di là di queste riflessioni e preoccupazioni, peraltro un po’ datate per essere sempre attuali e contemporanee – è di tutta evidenza che ci troviamo di fronte a una vera e propria caduta di credibilità della politica e delle regole elementari della democrazia. Ci si inventa un nemico mortale che ovviamente non esiste perché virtuale, si monta una propaganda martellante attraverso il sistema mediatico amico e il gioco è fatto.

C’è solo un piccolo particolare, come la concreta esperienza insegna: la logica del pallottoliere – qualunque sia la stagione politica in cui la si declina – è semplicemente incompatibile, appunto, con la cultura di governo. Perché unendo il diavolo e l’acqua santa, come si suol dire, tutto si può fare tranne una cosa: garantire un governo serio e credibile al paese. Per queste semplici ragioni si rende necessario, anche su questo campo, recuperare un postulato centrale e costitutivo del passato: sì alla cultura delle alleanze, purché siano coalizioni che non mortificano il ruolo della politica e la credibilità dei rispettivi progetti politici e di governo.