La riflessione
Il Centro muove in direzione del cambiamento, anzi oggi in Italia è il cambiamento
Alla Festa Iv di Santa Severa, Renzi ha rilanciato il discorso sulla fisionomia del centro secondo criteri che afferiscono al cambiamento e all’innovazione, non al culto dell’equidistanza rispetto a suggestioni lontane e contrapposte.

Non poteva mancare alla ripresa dell’attività politica l’avvio di una riflessione più seria sulla identità del centro, a cui si deve in effetti, oggi più che mai, una definizione appropriata, anzitutto perché prevale di solito l’abitudine a sminuirne il valore per la sua presunta incapacità di andare oltre la logica dell’equilibrismo e del compromesso. L’occasione è venuta dalla festa di Italia Viva e il compito se l’è assunto direttamente Renzi: a Santa Severa, a chiusura dell’evento, è stato lui a rilanciare il discorso sulla fisionomia del centro secondo criteri che afferiscono al cambiamento e all’innovazione, non al culto dell’equidistanza rispetto a suggestioni lontane e contrapposte.
Si tratta di un approccio che richiede attenzione e approfondimento, specie se la discussione accetti di richiamare, come sembra del resto opportuno, quelle esperienze che hanno segnato storicamente la dialettica interna al partito di centro per eccellenza, vale a dire la Democrazia cristiana.
È facile ricordare come De Gasperi, subito dopo la guerra e all’inizio della rinascita democratica, fosse indotto a precisare – lo fece nell’aprile del 1945 affidando ad Andreotti il compito di scriverne per “Il Popolo” – che nella visione di un partito d’ispirazione cristiana e con robuste radici popolari il centro doveva presentarsi come un soggetto politico destinato a “marciare verso sinistra”. Non fu un’uscita casuale, se poi, come accadde, lo statista trentino andò ripetendo la stessa affermazione nei passaggi cruciali della vicenda democristiana. Di qui l’interesse a piegare purtroppo, a seconda delle convenienze, il senso di una pronuncia così impegnativa.
Certo, agli esegeti di una Dc puramente consustanziale all’anticomunismo, la cui eredità consisterebbe perciò nel moderatismo al servizio della destra, evidentemente questa definizione di De Gasperi non piaceva e non piace tuttora. Altri, in modo più garbato, sono invece abituati a incanalare la critica verso una lettura morale più che politica di questo problematico “centro che marcia verso sinistra”: per loro il significato più vero riposerebbe nella vocazione sociale di un partito che, ispirato ai valori del cristianesimo, non poteva non essere a sinistra quanto a programmi e scelte di governo. Un modo, questo, per non fare i conti con la costante premura di De Gasperi volta a mantenere ben stretta l’alleanza con le forze riformiste di matrice laica liberale e socialdemocratica, anche in aperto contrasto con le sollecitazioni, provenienti da destra e da sinistra, per un governo monocolore in grado di esaltare al massimo la specificità del “partito cristiano”.
Ora, ciò che conta è non ignorare la lezione che da De Gasperi passa poi alla dirigenza più giovane della Dc, restando viva fin quasi a ridosso della fase di una irreversibile e penosa decadenza, quando le spinte della società e dei centri di potere renderanno impossibile l’opera di aggiornamento nel solco – come pure si provò a dire – della migliore tradizione del cattolicesimo democratico.
Qual è la lezione che resta, anche al di là della Dc? Il centro non ha consistenza ideale, né capacità di attrazione politica, se non si produce in uno sforzo costante di invenzione e creatività, dando prova di dinamismo. Nelle elezioni del 1972, incombente la minaccia del neo-fascismo, il gruppo dirigente di Piazza del Gesù adottò lo slogan “Avanti al centro con la Dc”: si poteva dunque procedere sulla strada della democrazia e della libertà, sempre in aperta e dura competizione con il Partito comunista, senza cedere alle tentazioni di destra.
Era uno slogan corretto, ma non entusiasmante. Avvenne allora che Fanfani, in un comizio romano, affondò la lama della sua fertile genialità di politico. A quella formulazione un po’ blanda, forse anche viziata dall’inerzia di un tradizionale posizionamento di potere, oppose una diversa articolazione lessicale e concettuale. “Non va bene – disse – perché noi abbiamo il dovere di guardare avanti. Per questo lo slogan migliore è un altro, più forte e più chiaro: “Dal centro, avanti con la Dc”. Ecco, il dinamismo era in sostanza l’elemento di una politica – appunto, una politica di centro – che affrontava le sfide, non le aggirava né le subiva. Questa, nelle nuove condizioni della politica odierna, è una memoria che deve guidare l’azione dei riformisti. Il centro muove in direzione del cambiamento, anzi oggi in Italia è il cambiamento.
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