Nel 1994 il confronto televisivo tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto fu visto – cito l’Unità del 25 marzo di quell’anno – da 9,5 milioni di telespettatori con uno share del 61%. Quello tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi del 2006, invece, con i social che muovevano i primi passi e la legge sulla par condicio già applicata, fu seguito da poco più di 16 milioni di italiani con uno share del 52,13%.

Adesso, se contiamo le visualizzazioni dei tredici reel postati dall’account Instagram di Giorgia Meloni negli ultimi 28 giorni, otteniamo un totale di 16,1 milioni di visualizzazioni. Un dato che ci conferma come da quel primo confronto tv a oggi, l’eco-sistema informativo e mediatico sia profondamente mutato, così come dal faccia a faccia del 2006 ai nostri giorni tutti noi, politici e legislatori, regolatori ed editori o giornalisti, senza escludere i candidati e gli elettori, dobbiamo fare i conti con la rivoluzione digitale e con il dominio incontrovertibile dei social network.

Una delle conseguenze più evidenti della trasformazione della società novecentesca in una comunità fortemente disintermediata, che si relaziona principalmente popolando la giungla delle piattaforme, è senza dubbio l’invecchiamento precoce della legge 28 del 2000. Tra le leggi approvate negli ultimi trent’anni la normativa sulla Par condicio è quella che ha pagato il prezzo più salato all’epocale cambio di paradigma della informazione e della comunicazione e la decisione della Rai di annullare il confronto televisivo tra Elly Schlein e Giorgia Meloni, che si sarebbe dovuto tenere la sera del 23 maggio, è la conferma di una insanabile sclerosi normativa.

Alla luce delle indicazioni formulate dall’Agcom sulla fattibilità del confronto – solo se “il relativo format sia accettato da una larga maggioranza delle liste in competizione elettorale e comunque dalla maggioranza delle liste con rappresentanza in Parlamento” – la scelta dei vertici di Via Mazzini è stata inevitabile dopo il venir meno del requisito minimo essenziale stabilito dell’Autorità. Eppure, basterebbe citare oltre al dato di Instagram anche quelli delle interazioni e delle visualizzazioni delle piattaforme presidiate dai leader per comprendere quanto oggi la comunicazione politica sia del tutto indipendente dal tubo catodico e dagli altri media tradizionali.

Su TikTok, ad esempio, sempre Meloni incassa altri 4 milioni di visualizzazioni, su Facebook siamo a 3 e su X scarsi 2, senza sommare quelle su Youtube e LinkedIn siamo già a 25 milioni. Non solo, si tenga conto che sui social la comunicazione dei leader con i follower, che poi diventano elettori, è permanente, quotidiana e vissuta in modalità live. Di più, è dialogica perché chi la segue dallo smartphone mentre è far la spesa al supermercato ha il potere di commentare, di approvare o di dissentire. Insomma, altro che duelli televisivi.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).