Se il Coronavirus spaventa il mondo intero, le sue varianti atterriscono ancor di più. Ma quanto c’è da preoccuparsi sentendo i nomi di nuove varianti? Lo spiega Gennaro Iaconis, dottorato in Virologia, ricercatore presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Cambridge. Lo scienziato nel suo lavoro in Inghilterra si occupa di come l’organismo risponde e si adatta alle infezioni virali e spiega quanto la conoscenza, il vaccino e i progressi fatti possano essere la miglior cura a tutto.

Perchè si formano tutte queste varianti del Coronavirus?
Partiamo dal concetto di ‘variante’. In generale una variante del virus è un cambiamento, tecnicamente una mutazione, del materiale genetico quando il virus si duplica. Queste variazioni avvengono naturalmente e sono dovute a delle proprietà intrinseche nel sistema di duplicazione del genoma del virus.

Quali sono le caratteristiche della variante inglese?
La variante inglese, tecnicamente detta VUI202012/01, presenta delle mutazioni della proteina SPIKE (SP). La SP permette al virus di attaccarsi alle cellule. Esperimenti di laboratorio su cellule hanno evidenziato che la variante inglese del virus porti ad un incremento della velocità di propagazione da una cellula ad un’altra. Questo però non necessariamente si traduce in una maggiore virulenza.

C’è una concreta diversità dei sintomi tra una variante e l’altra? 
Ad oggi, con i risultati ottenuti dagli screening sui pazienti, non si evidenziano sostanziali differenze nei sintomi tra le varianti del virus.

Ci dobbiamo aspettare altre mutazioni di covid? Quanto ci devono spaventare?
Ci saranno sicuramente altre mutazioni, come dicevo prima, dovute alla natura dei virus in generale. La sintomatologia non dovrebbe presentare grosse variazioni. Essendo queste variazioni del tutto casuali, c’è la probabilità che una mutazione conferisca al virus un’efficienza (detta ‘fitness’) maggiore.

Ci sono reali rischi per l’efficacia del vaccino Pfizer? Va creato un vaccino ex novo o riadattato quello che sta arrivando adesso?
Il vaccino della Pfizer è stato progettato per far sì che un organismo non ancora infettato produca sulle proprie cellule le proteine SPIKE del covid-19. Essendo queste le proteine più esterne del virus, sono le prime ad interagire con le cellule dell’organismo e probabilmente quelle responsabili dell’attivazione del sistema immunitario. In questo modo si prepara l’organismo qualora ci fosse un’infezione da parte del virus. Per confermare l’efficacia del vaccino anche verso la nuova variante inglese, si necessita ancora di studi più approfonditi sulle mutazioni che caratterizzano la suddetta variante. L’azienda ha infatti dichiarato in questi giorni di aver iniziato ulteriori controlli.

La Spagnola nel giro di due anni ha perso carica virale, così come è successo anche per altri virus, potrebbe succedere anche al Covid? Quando potrebbe perdere forza?
Partiamo col chiarire un concetto che spesso crea confusione: la carica virale. La carica virale non è una proprietà diretta del virus, bensì è la quantità di particelle virali contenute in un organismo infettato. Quindi ‘perdere carica virale’ non è riferito al virus che perde forza, bensì è un organismo infettato a trasportare meno virus e di conseguenza a rilasciarne di meno.
Dai dati epidemiologici disponibili, è lecito pensare che il virus dell’influenza Spagnola portò ad una selezione naturale della popolazione mondiale. Nel 1920, al termine dell’epidemia, negli stati maggiormente infettati sopravvissero i più forti ‘biologicamente’ o chi aveva acquisito immunità. Per motivi socio-demografici e sanitari, sarebbe forzato fare un paragone tra le due epidemie in termini di impatto sulla società.

Finirà mai la pandemia?
C’è la probabilità di una transizione del virus da pandemico ad endemico, cioè noi potremmo essere infettati senza presentare sintomi o essere ‘resistenti’ al virus grazie all’azione del vaccino.

Quanto sono importanti i vaccini?
Indiscutibilmente la funzione del vaccino è fondamentale. Voi conoscete qualcuno con la polio?

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.