Ambientalismo
Il culto ambientalista non rinunci alla speranza

Non sono pochi coloro che considerano l’ambientalismo il cemento ideologico della sinistra del futuro. E, in verità, come hanno dimostrato le ultime elezioni europee, i partiti e i movimenti verdi sono in netta ascesa in molti importanti paesi, soprattutto in quelli ove un tempo era forte la socialdemocrazia (che non a caso era industrialista ed economicista). In pochi sanno però che storicamente le politiche verdi sono nate a destra, essendo l’idea di conservazione facilmente estensibile dalle strutture sociali e dalle tradizioni e costumi di un popolo all’ambiente naturale in cui egli vive. La cura, l’accudimento, la preservazione delle proprie radici e della propria casa (oikòsè la radice etimologica di ecologia) sono tipici valori di destra. In contrasto con tutte le filosofie progressiste che sullo sradicamento (cosmopolitismo) e sulla volontà di trasformare e migliorare il mondo (giacobinismo) hanno costruito la loro fortuna a partire dalla Rivoluzione francese. Il fatto ora che la crisi, o la fine, dell’idea di Progresso sia accettata e attestata anche in ampi settori della sinistra (che rousseaiana in questo senso non era mai stata) è, a mio avviso, un fatto degno di riflessione. Ovviamente le politiche di “sostenibilità”, come si dice oggi, presentano vari e controversi aspetti, e anzi per certi versi accentuano quella volontà di rifare il mondo daccapo, questa volta con il braccio della legge e nell’ottica del processo di “razionalizzazione”, che è propria dell’illuminismo progressista.
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Ma accanto a questa opera di razionalizzazione normativa, che ha i suoi campioni nelle organizzazioni sovranazionali tipo l’ONU, l’ambientalismo – soprattutto nell’esperienza vissuta dei suoi supporter – presenta aspetti non di semplice critica della direzione assunta dal progresso ma addirittura decisamente antiprogressisti. Il pensiero va ovviamente subito all’ideologia della “decrescita felice”, ma non vanno sottovalutati anche i continui appelli a “non sprecare” o all’esaltazione della “sobrietà” francescana. Particolarmente significativa è però l’ultima e più strutturata di queste idee antiprogressiste: la cosiddetta “economia circolare”, che si ripropone radicalmente di cambiare il nostro modello di sviluppo facendolo divenire da lineare quale è stato finora (produzione-consumo-dismissione) in linea tendenziale assolutamente autosufficiente e autogenerantesi sul modello dei sistemi biologici. Ciò grazie a operazioni come il riuso, la rivalorizzazione e soprattutto il “riciclaggio”. Un sistema che non produce “rifiuti” e “scarti”, nemmeno umani (per usare una suggestione del sociologo Zygmunt Bauman ripresa da papa Francesco), e quindi nemmeno diseconomie (che forse sono tali solo in apparenza). E in effetti la Chiesa di Bergoglio ha subito cavalcato questa onda, così finendo a mio avviso per secolarizzarsi anch’essa. Che quella ambientalista, soprattutto nelle versioni “decresciste” e “circolariste”, possa assurgere al ruolo di nuova religione laica, è non solo possibile ma è forse già realtà. Una religione con i suoi miti (cioè non “scientificamente” dimostrate), i suoi riti, i suoi missionari come Greta Thunberg e ora Carola Rackete. Che si tratti di una religione secolare che, al contrario di quelle del Novecento, non fa uso di violenze, pur non essendo meno pervasiva, è un dato di fatto. Ma la differenza più sostanziale è che essa mette appunto in discussione, e anzi dismette, l’idea di Progresso. Con il progresso potrebbe però morire anche quell’idea di speranza che, inteso in senso laico, dalla sinistra sembrava finora inseparabile.
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