Alla vigilia di eventi fieristici di grande importanza – come Arte Fiera Bologna e Modenantiquaria – tra gli addetti ai lavori cresce un sentimento di delusione, pessimismo e incertezza. Contrariamente alle rappresentazioni di alcune testate internazionali (come il Financial Times) che dipingono l’Italia, e in particolare Milano, come un polo emergente del mercato dell’arte, il settore si trova a fronteggiare un futuro pieno di incognite. Molti operatori stanno valutando seriamente di trasferire le proprie attività all’estero, a causa di politiche inadeguate e della mancanza di interventi concreti a sostegno del settore.

Lo scenario

Il decreto Cultura, su cui il governo ha posto la fiducia, ignora totalmente le istanze e le proposte provenienti dagli operatori che animano il mercato dell’arte italiano. Nonostante un confronto costante, è stato innalzato un autentico muro. Le indicazioni avanzate dall’Associazione Gruppo Apollo – che rappresenta l’industria dell’arte in Italia, e che include le principali case d’asta, antiquari, gallerie d’arte moderna e contemporanea, e aziende di logistica – sono state dimenticate. Uno scenario che sta condannando l’arte italiana a un irrecuperabile svantaggio rispetto al resto d’Europa. Nonostante l’incessante attività di sostegno ad artisti e istituzioni pubbliche e private, ci troviamo davanti a una crisi senza precedenti.

Le ragioni

Ciò non dipende dalla qualità del lavoro svolto, ma da una regolamentazione nazionale che è inattuale e farraginosa e impedisce la competizione con i paesi europei, più dinamici e avanzati in materia di arte e cultura. L’Italia, pur essendo la custode di un inestimabile patrimonio storico e artistico, genera una percentuale esigua del fatturato globale. Una situazione evidente, se confrontata con quella di paesi vicini – come Francia e Germania – che hanno saputo cogliere le opportunità offerte dalle recenti direttive europee. A partire dall’1 gennaio 2025, la Germania e la Francia hanno ridotto l’aliquota Iva sull’importazione e sulla cessione di opere d’arte rispettivamente al 7% e al 5,5%, grazie all’applicazione della direttiva (Ue) 2022/542. L’Italia, invece, è rimasta immobile a un’aliquota Iva ordinaria del 22%; il che ha creato un irrimediabile divario competitivo con gli altri mercati europei.

Il ritardo nella riforma

Questo ritardo nella riforma sta producendo un effetto negativo immediato: la migrazione di molte attività verso paesi con una fiscalità più favorevole, danneggiando il nostro sistema culturale e – paradossalmente – anche il gettito fiscale italiano. Siamo di fronte a una dinamica che rischia di innescare un vero e proprio esodo delle aziende. Non combattere per proteggere il nostro patrimonio artistico, il futuro degli artisti italiani, le nostre tradizioni e i nostri mestieri antichi sarebbe come amputare una parte fondamentale dell’identità del made in Italy. Il nostro paese, che dovrebbe essere la patria dell’arte e della cultura, si trova a un bivio cruciale: se non comprenderà l’urgenza di tutelare la propria storia di ieri e di oggi, rischia di compromettere anche quella di domani.

Sirio Ortolani

Autore

Presidente Associazione Nazionale Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea (Angamc)