Inizio questo articolo sugli Stati Uniti correggendo l’impressione che ho esposto di recente commentando il discorso del Presidente russo Vladimir Putin al Foro di Vladivostok dove si è augurato l’elezione di Kamala Harris e, con grande sorpresa, non di Donald Trump.

Questa dichiarazione riguarda l’America dove è in corso una vera epurazione di tutti gli americani che lavorano per la stampa russa e per l’emittente televisiva RT. Sono accusati di aver violato le sanzioni contro la Russia e in qualche caso di riciclaggio di opere d’arte per creare fondi neri a favore dei russi. È possibile che Putin volesse dare un segnale pacifico all’America, ma il punto era un altro: ha detto di non avere alcuna intenzione di mollare sul Donbass e non pensa affatto di ritirare uomini da quel fronte per affrontare l’inattesa invasione Ucraina In Russia nell’oblast di Kursk.

Putin abile simulatore

La Russia sta intervenendo con una campagna molto capillare e con il “coup de théâtre” di Putin a Vladivostok che di colpo abbandona Trump dichiarando insospettabile amore per Kamala Harris e persino per il suo arcinemico Presidente in carica Joe Biden. Putin è uno specialista ben addestrato nell’arte del simulare: è un campione di arti marziali e ha appena rilasciato un video in cui spiega la filosofia del judo: concedere spazio all’impeto dell’avversario e trasformare le sue debolezze per metterlo al tappeto.

I temi

La guerra in Ucraina influisce sulla campagna elettorale americana ed è noto il costante tentativo di influenzare il comportamento degli americani. Ma la Casa Bianca di Joe Biden ha reagito ostilmente ordinando una epurazione di decine di americani filorussi (e spesso di origine russa) che animano la televisione RT russa. Di tutto ciò non si parla nella campagna elettorale che si volge come un grande evento sportivo. Per ora, Kamala Harris resta in testa con tre punti di vantaggio su Donald Trump. È ancora molto incerto se le dichiarazioni e il tifo di Putin da Vladivostok possano avvantaggiare Kamala Harris che oggi ha serie probabilità di vittoria. Il New York Times liquida l’esternazione di Putin come una estemporanea trovata per parlare d’altro. Nella campagna elettorale non si parla quasi mai di veri programmi. L’economia ha avuto un colpetto a luglio, ma ad agosto ha fatto un balzo in termini di new jobs, posti di lavoro e questi numeri hanno effetto reale sulle intenzioni di voto: in Usa ti licenziano (o ti assumono) da un giorno all’altro e non è una festa. Chi garantisce sviluppo e stabilità, in genere vince. Trump, prima del Covid aveva fatto crescere economia e jobs grazie al taglio di tasse agli imprenditori ma poi ci fu il collasso. Democratici e repubblicani si giocano quasi tutto sulle emozioni collettive: sfumature della pelle, religione, etnia, sesso e molti giovani cercano una nicchia di minoranza perseguitata di riferimento, da cui chiedere giustizia e risarcimento. Essere di destra in America non assomiglia ad essere di destra in Europa. E la sinistra, così come durante la guerra fredda, sta coi sindacati ma è antirussa. Di qui il senso della trovata di Putin che preferendo la Harris lancia un ponte verso il nemico. Il numero dei milioni raccolti fa titolo, e la gara a chi incassa di più è come una sala corse: chi ha più palate di monete da gettare nella fornace pubblicitaria vince. Diversamente da quel che succede da noi, dove un politico tende a tenere ben nascosti finanziamenti anche legittimi, i candidati americani urlano con gioia quanti milioni incassano, perché essere finanziati è democrazia. La Harris nel solo mese di agosto ha raccolto 361 milioni contro i 130 di Trump. Più, altri 82 durante la Convention di Chicago.

Buchi e passaggi segreti

Siamo abituati a ripetere che l’America è in profonda crisi, ed è in parte vero. Ma il suo Deep State, l’establishment con le grandi compagnie e le grandi agenzie sembrano solidi ma innervositi dai propositi di Donald Trump che, arrivato alla Casa Bianca dice di voler sostituire tutto il vertice militare con i suoi fedelissimi, e imporrà al comando dell’Fbi qualcuno che risponda solo lui. Agisce quindi annunciando una presa del potere sia assoluto che costituzionale (la Costituzione americana è piena di buchi e passaggi segreti) alla maniera del rivoluzionario bolscevico Leon Trotskij quando dimostrò a Lenin che il Palazzo d’Inverno – sede allora del potere – non si prende agitando in strada le masse, ma entrando nel palazzo con mille marinai per tagliare le gole a tutti, fino all’ultima centralinista. Lo fece e solo allora spalancò la finestra gridando: “Vladimir Ilic, il palazzo è tuo e la tua rivoluzione ha vinto”. Qualcuno lo scrive sui siti più raffinati: davvero Donald Trump è come Leon Trotzki o Lucio Sergio Catilina? E poi le vette ridicole di una campagna che usa strumenti d’avanguardia come l’intelligenza artificiale: ecco voi Kamala Harris col pancione incinta di Trump, o ecco la clip in cui Kamala incintissima bacia Trump il quale poi va al pub ad ubriacarsi con Joe Biden. Migliaia di trucchi, falsi, parodie, di meme, sfuggono a qualsiasi controllo (e spesso sono divertenti).

Il dibattito Trump Harris

Il vero dibattito naturale fra Donald Trump e Kamala Harris si svolgerà martedì su Abc News e sarà l’epitome del duello americano, la vera sfida dell’OK Corral. Si sa che i padrini dei duellanti hanno trovato un accordo che Donald Trump ha annunciato con queste parole: “Ho raggiunto un accordo con i democratici della sinistra radicale per un dibattito con Kamala Harris e avrà le stesse regole del confronto che si è già tenuto su Cnn tra me e Biden”. E dunque i duellanti non saranno seduti ma in piedi. Non potranno consultare appunti né telefonini: tutto in testa, senza trucchi e senza imbrogli. L’America si prepara come si fa per il match che assegna il titolo di campione, ma con evidente riduzione dell’interesse politico. In che consiste l’offerta al popolo degli elettori? Kamala è schierata nella difesa radicale dell’aborto, contando sul voto delle donne e di tutti i non bianchi. Simmetricamente Trump e Vance mirano al grande ventre dell’America dei bianchi poveri che si sentono minoranza.

Tutti coloro che detestano Donald Trump sono con lei, e lei rispetta il consiglio dei suoi adviser: non parlare di programmi, per carità evita gli impegni, sii simpatica e accogliente e quanto al resto, labbra strette. E non è un mistero che la Harris non punti sulla politica per vincere ma sulle solidarietà di genere, e di tutti i generi. Dall’altra parte Donald Trump accusa il colpo perché la sua tonitruante retorica fa fuoco e fiamme se può investire un nemico riconoscibile. Ma Kamala purtroppo per lui non è riconoscibile, comunque la si guardi e la si ascolti.

Trump seguita a chiamarla “camarade”, compagna e leader della sinistra radicale, ma la Harris non si sogna affatto di essere radicale. Trump va alla carica con suoi cavalli di battaglia come il muro col Messico, sulla questione dell’identità americana che secondo Trump non è una questione razziale ma di patriottismo adorante nei suoi confronti. L’ideologia? Nulla di nuovo: sempre meno tasse ai ricchi, perché i ricchi creano posti di lavoro, e quella è la vera ricchezza dei poveri. Quanto al resto, tutto è poco prevedibile: opposizione all’aborto oltre le quattro settimane e chiusura di tutti i conflitti all’estero disporre di mercati calmi e prosperi. Pronto a trattare con chiunque e a qualsiasi prezzo. E per questo gli piace Putin, e fino a due giorni fa a Putin è sempre piaciuto Trump. La politica estera sarà discussa più tardi, ad elezioni avvenute.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.