Hamas e Israele trattano senza sosta. Egitto, Qatar e Stati Uniti, i mediatori di questo negoziato ai limiti dell’impossibile, provano ogni giorno a raggiungere una base che sia in grado di mettere in atto almeno la prima fase di un eventuale accordo: la liberazione dei primi ostaggi e la tregua nella Striscia di Gaza. Ma la strada è sempre in salita. E l’impressione è che lo stallo regni sovrano. Le due parti dialogano, sottotraccia, attraverso i vari canali costruiti con i mediatori. Ma per molti osservatori il timore è che questo accordo, di fatto, non piace a nessuno dei contendenti.

Benjamin Netanyahu – il primo ministro assediato sul fronte interno e internazionale – ha fatto capire di non essere disposto a cedere su uno dei punti più importanti, e cioè la presenza militare lungo il Corridoio di Filadelfia. Lo ha ribadito in due diverse conferenze stampa. E anche se fonti Usa e interne all’esecutivo di Israele sostengono che Bibi avrebbe avallato una riduzione delle forze armate sul confine tra Egitto e Striscia di Gaza, al momento sembra difficile che Netanyahu possa dare il via libera. Specialmente dopo che gli alleati di ultradestra hanno sottolineato la loro contrarietà a qualsiasi tipo di compromesso con Hamas. Il primo ministro israeliano, parlando a Fox News, lo ha detto anche ieri: “Non c’è un accordo in fase di elaborazione, sfortunatamente”.

E se il governo dello Stato ebraico è fermo su questa posizione, allo stesso tempo l’organizzazione islamista palestinese non sembra intenzionata a dire di sì a un accordo che non stabilisce una riduzione (e un ritiro) delle Israel defense forces dalla Striscia. Unico scenario in cui Hamas potrebbe in qualche modo dare un segnale di sopravvivenza in un prossimo dopoguerra. La milizia rialza sempre di più la posta. E le due parti continuano ad accusarsi reciprocamente di far saltare le trattative.

Gli Stati Uniti osservano e cercano di capire come muoversi. Ma la frustrazione della Casa Bianca è ormai cristallina. L’amministrazione Biden sta facendo il possibile per raggiungere un accordo prima del voto, anche se qualche osservatore sospetta che Netanyahu stia temporeggiando proprio in attesa di capire le chance di Donald Trump di riprendersi la Casa Bianca. E negli incontri tra i più importanti membri del governo, lo stesso presidente Joe Biden e la squadra dei negoziatori, si cerca di capire quale possa essere la chiave per accelerare il processo negoziale. La pressione, sia su Hamas che sul governo israeliano, è altissima. Il Dipartimento di Giustizia ha desecretato i sette capi di imputazione nei confronti del leader di Hamas, Yahya Sinwar. E nonostante le parole di Netanyahu sul non volere cedere riguardo la presenza delle Tsahal al confine tra Gaza ed Egitto, lo stesso portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha ribadito che in realtà “Israele ha accettato di ritirarsi dalle aree densamente popolate della Striscia di Gaza, incluso il corridoio di Filadelfia”.

Ieri, sul Jerusalem Post, sono apparse le dichiarazioni di un funzionario americano convinto che il 90% dell’accordo era stato “raggiunto”. Tuttavia, ha spiegato la fonte, il ritrovamento dei sei cadaveri israeliani “ha cambiato il carattere di alcune di quelle discussioni”. Per altre fonti si era anche arrivati nelle scorse settimane a un’intesa per uno scambio tra soldatesse in ostaggio e detenuti palestinesi, ma Hamas avrebbe fatto poi saltare tutto aumentando il numero di ergastolani da liberare. Mentre l’ambasciatore statunitense in Israele, Jack Lew, in una conferenza a Tel Aviv ha affermato che “i negoziati hanno toccato le questioni più difficili, alcune delle quali non sono oggetto della maggior parte del dibattito pubblico” e che “il dibattito pubblico nasconde dove si trovano i veri problemi”. Segno che il Corridoio di Filadelfia potrebbe anche essere un problema minore rispetto ad altri di cui si sta discutendo in queste ore tra Doha e il Cairo.

La confusione è tanta. La frustrazione anche. E nel frattempo, tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania si continua a combattere. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, parlando di questo nuovo fronte di tensioni ha usato parole nette: “Stiamo tagliando l’erba, ma arriverà anche il momento in cui estirperemo le radici, questo deve essere fatto”. Sono cinque i morti palestinesi nell’ultima giornata di scontri. E il timore, anche della fragile Autorità nazionale palestinese, è che la violenza possa deflagrare in un nuovo 7 ottobre.