Il cortocircuito del governo
Il governo prende tempo e terrorizza i cittadini per evitare la crisi
Il cortocircuito sta facendo scintille pericolose. Quasi incontrollabili. Il circuito sanitario è sempre più intrecciato con quello politico quando dovrebbero invece restare nettamente separati. Il problema è che il capo degli elettricisti, il premier Giuseppe Conte, non riesce più a gestirli e l’incendio è esploso. Sempre che non ci sia qualcuno che invece li intrecci di proposito questi fili per congelare la politica in nome della salute pubblica. L’incontro stamani, il pezzo di verifica da completare, tra Conte e Italia viva è la chiave che manca per capire cosa succederà nelle prossime settimane. Al massimo entro gennaio visto che Renzi ha escluso una crisi governo adesso, prima del via libera alla legge di Bilancio. Che però è un altro filo, il terzo, che rischia il cortocircuito: a oggi la manovra non è stata neppure lavorata in Commissione alla Camera. E manca ancora tutto il Senato.
La giornata s’impenna subito sul tema delle chiusure natalizie in chiave anticontagio. Le scintille sono iniziate martedì pomeriggio quando tre ministri – Franceschini, Boccia e Speranza, il tridente dei rigoristi – già in pressing da domenica decidono che la curva epidemiologica non decresce come dovrebbe e con gli inevitabili assembramenti natalizi è troppo forte il rischio di innescare la terza ondata a metà gennaio quando dovrebbero riaprire le scuole e partire la campagna vaccinale. Conte alle prese con la verifica di governo, chiede il parere dei tecnici. Così anche M5s e Italia viva. Peccato che il Comitato tecnico scientifico chiuda la riunione diviso in tre: rigoristi stile Franceschini; mediani e aperturisti. Il verbale chiude dicendo: questi i dati, decida la politica.
Ieri mattina tuta questa roba plana come un meteorite nell’aula del Senato dove i gruppi di maggioranza sono alle prese con le misure della pandemia ma da opposto punto di vista: le mozioni messe ai voti riguardano le aperture dei piccoli comuni che, in base al decreto Natale, saranno superblindati in tutta Italia. Solo che un conto è vivere e muoversi nel comune di Roma o Milano, altro in piccoli comuni da 5mila abitanti. «È una questione di giustizia sociale» dicono i parlamentari in modo trasversale. Siccome Conte ha detto che il Parlamento è sovrano, il Parlamento ha deciso di votare. Peccato che a fine mattina prima un tweet di Franceschini («È il momento di scelte rigorose») seguito da quello di Zingaretti («D’accordo sull’inasprimento delle misure») spiazzano i senatori Pd. La maggioranza viene così “costretta” a fare marcia indietro e ad ingoiare una mozione annacquata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà che in sostanza impegna il governo a garantire «equità di trattamento» per tutti i cittadini specie se residenti in comuni di diverse dimensioni. Che è ben diverso dal garantire lo spostamento fuori comune.
Ma come si fa se il governo sta per blindare l’Italia in una zona rossa nazionale e natalizia? Schizofrenia pura. E non è giornata per armare altre discussioni. Ce ne sono già abbastanza. Meglio tacere e tenere a bada il cortocircuito. Che peraltro, cammina per conto suo in quel che resta del giorno. Mentre il Senato è lì a cercare la quadra senza perdere troppo la faccia, Conte avvia la riunione con i capidelegazione dei partiti di maggioranza per decidere «la nuova stretta sul Natale». Italia viva non c’è. Teresa Bellanova è impegnata a Bruxelles, come Conte sa bene visto che il vertice della verifica è saltato proprio per l’assenza della ministra renziana. Il vertice di maggioranza non era previsto ma è necessario perché è «urgente decidere». L’assenza di Italia viva è un messaggio preciso: se qualcuno nel governo – e non sono pochi – pensa di rinviare la verifica di maggioranza a dopo la pandemia in quanto unica vera emergenza, ha sbagliato i conti.
Il vertice inizia alle 13. Andrà avanti fino alle 19 (Conte ha un impegno tv) e riprenderà alle 20 con la presenza di Bellanova appena tornata da Bruxelles. Le posizioni sono abbastanza chiare: Pd e Leu chiedono più rigore ed ulteriori chiusure; i 5 Stelle sono divisi e incerti; Italia viva ha fatto sapere di voler vedere i numeri visto che «ci siamo dotati di uno strumento che ha affidato a 21 parametri il calcolo e la previsione della diffusione del contagio e della resilienza del sistema sanitario». Conte sarebbe su una posizione più soft. I governatori, a cui oggi l’esecutivo farà conoscere le sue decisioni, chiedono di seguire i criteri usati finora: chi ha valori da zona rossa, chiude tutto; chi ha valori migliori apre. I leader delle opposizioni, riuniti a due passi da palazzo Chigi per la presentazione del libro di Vespa, osservano la scena basiti. «Ma stavolta possiamo fare il controribaltone – dice Salvini – potremmo trovare i numeri in Parlamento per un governo di centrodestra».
E poi aggiunge: «Se Conte decide di chiudere l’Italia a Natale, già da questo sabato, vuole innescare caos e scontro sociale». Perché questo è lo scenario che ha preso forma nel lungo vertice: tutta Italia in zona rossa nei giorni festivi e prefestivi nei giorni 24, 25, 26, 27, 31 dicembre e l’1, 2, 3 gennaio. La discussione è ancora aperta. Conte vuole il più largo consenso di maggioranza. E vuole che si esprima Italia viva. Ora il punto è questo: i dati in Italia sono molto migliorati, nel contagio e negli ospedali. Ci sono problemi in Veneto, che è sempre stato giallo, in Friuli e in qualche altro focolaio. Era stato adottato un metodo che cittadini e politici hanno imparato a conoscere ed utilizzare.
Perché metterlo improvvisamente da parte ed inseguire scenari catastrofici non supportati da evidenza scientifiche? Tutto questo, ovviamente, cancella dal lessico di giornata parole come crisi di governo, rimpasto, rafforzamento della squadra, cabina di regia del Recovery plan eccetera eccetera. Renzi stamani le rimetterà sul tavolo di Conte. Che però dovrà correre subito a qualche riunione via Zoom per decidere se chiudere o meno l’Italia. Sotto Natale. Non sarebbe la risposta più lucida da dare per dimostrare di saper governare il paese. E di saper spegnere il cortocircuito.
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