Adesso che viene agitata nuovamente l’emergenza pandemia, diventa ancora più evidente che “Conte non si tocca”. La domanda è se lo spauracchio dell’Italia “zona rossa a Natale sul modello tedesco” – tema che ieri ha quasi oscurato i guai della maggioranza – riuscirà a spazzare via il nodo politico di una squadra di governo che finora “non è riuscita a produrre e a marciare nella direzione e col passo dovuto” come suggerisce non solo Italia viva ma anche la segreteria Pd. Tanto da chiedere al premier “più umiltà e più ascolto” (citazione capigruppo Pd). Chissà se questa volta l’operazione riuscirà.

Di sicuro è già successo un paio di volte, a giugno e a settembre dopo le regionali, che parte della maggioranza volesse mettere mano alla squadra di governo e fosse arrivata a un passo dal mettere il dossier in evidenza sulla scrivania di Conte. E ogni volta il virus ha congelato tutto. In questa cornice, dopo una settimana di fibrillazioni innescate da Italia viva che hanno raggiunto lo zenit con l’intervento di Matteo Renzi al Senato (“cambiare metodo e merito nella gestione dei 209 miliardi europei oppure noi non voteremo la legge di bilancio”) ieri è iniziata quella verifica di maggioranza che Conte ha annunciato al Capo dello Stato con una telefonata sabato pomeriggio. L’agenda delle consultazioni prevedeva il Movimento 5 Stelle alle 16 e 30 (l’incontro è iniziato alle 17 30 e terminato alle 19 e 30) e il Pd a seguire. Oggi Italia viva alle 13 e Leu alle 19.

Poi in qualche modo il premier tirerà le sue conclusioni ed è probabile che voglia fare partecipe di questo “tagliando” anche il Capo dello Stato. Tutto lascia pensare che sarà trovato il modo di rispondere alle questioni poste da Italia viva senza per questo spostare una sola pedina. Non ora almeno perché la priorità è di tipo sanitario: evitare la terza ondata e la chiusura dell’Italia per dieci giorni; avviare il piano vaccinale dove emergono ora dopo ora criticità; evitare che si saldino emergenza Covid ed emergenza influenza. Tanto vale, quindi “correggere” le maldestre fughe in avanti messe nero su bianco sulla bozza del Pnrr (Piano nazionale ripartenza e resilienza, versione italiana del Recovery plan) e sulla bozza di decreto che il premier voleva mettere ai voti nel Consiglio dei Ministri di lunedì 7 dicembre. E congelare il resto. Almeno fino a gennaio quando tutte le energie politiche dovranno essere investite sulla capacità di spesa dei miliardi europei.

Che questo sia il senso della verifica lo ha fatto capire il premier ieri mattina intervenendo al Rome Investment Forum. «Stiamo definendo la struttura responsabile del monitoraggio del Piano» di resilienza predisposto dal governo per i fondi del Next Generation Eu. Segno che dunque nulla ancora è stato definito e che è necessario il via libera di Parlamento, enti locali e parti sociali. «Questa struttura (che non sarà più chiamata cabina di regia ma struttura di missione perché anche il lessico ha il suo peso, ndr) non sarà sovrapposta ai doverosi passaggi istituzionali». Nessun esproprio di funzioni istituzionali, quindi, punto su cui Italia viva ha insistito in ogni intervento. Il Pnrr, poi, sarà “ambizioso ed articolato”. Leggi “aperto anche al contributo delle opposizioni” che hanno già portato a casa l’ok a parecchi emendamenti sul Ristori quater. «Ora proviamo anche a correggere la legge di Bilancio. Puntiamo sempre sulla categoria degli autonomi: più garanzie per l’impresa e ammortizzatori sociali universali uguali per tutti, dipendenti e non».

Il parziale della verifica di ieri, in attesa di oggi, può essere definito un pareggio senza prigionieri. E un premier sotto tutela che dovrà rinunciare a molti protagonismi. Il Movimento 5 Stelle, convocato per primo perché il gruppo parlamentare più numeroso, si è presentato con il capo politico Vito Crimi, il capodelegazione Alfonso Bonafede, i capigruppo Licheri e Crippa. Incerta fino all’ultimo, poi confermata, la presenza di Luigi Di Maio. Un dettaglio sostanziale. Di Maio infatti è tra coloro che sono “sospettati” di volere il rimpasto di governo almeno tanto quanto Renzi e una parte del Pd. I retroscena circa una sua frase detta nell’assemblea grillina del 5 dicembre sul voto del Mes (“voi non avete capito che se cade il Conte 2 io avrò posto anche nel governo successivo”, come vicepremier in ticket con Orlando; addirittura come premier) ha alimentato ricostruzioni che lo stesso Di Maio è stato costretto a smentire. Che tra Conte e il ministro degli Esteri ci sia una competizione, è storia ormai antica. Come il fatto che la debolezza di Conte è figlia dell’assenza di una forza politica alle sue spalle. Handicap facilmente risolvibile se questa forza fosse il Movimento. Gli altri presenti all’incontro sono tutti Conte-dipendenti. Scontata la blindatura. Al netto di qualche richiesta sui progetti del Pnrr.

Più complesso il faccia a faccia con il Pd. Anche qui è stato quello di volare molto basso, vietato parlare di rimpasto e dare l’idea di voler fare fibrillare la coalizione. «Sul tavolo le cose da fare, i dossier aperti che non vanno avanti», è stato spiegato. Quindi riforme, lavoro, infrastrutture, riforma della giustizia, fiscale e della pubblica amministrazione, scuola e ricerca. Il convitato di pietra è stata la delega all’intelligence che il Pd rivendica da qualche mese. Anche per dare più efficacia all’azione dei nostri 007. Il Pd ha mandato a palazzo Chigi il segretario Zingaretti, il vice Orlando, Cecilia D’Elia, il capodelegazione Franceschini e i capigruppo Delrio e Marcucci, portatori da tempo dei malumori dei gruppi parlamentari Pd rispetto all’accentramento di decisioni, alla scarsa condivisione e all’inerzia dell’azione di governo.

La loro assenza sarebbe stata intesa come una censura. Zingaretti non ha chiesto rimpasti. Ma ha messo sul tavolo il programma per i prossimi due anni di legislatura con la missione di far ripartire il paese con i soldi e i progetti del Pnrr. «Le cose da fare e che ancora non vengono fatte» come Zingaretti ha ricordato più volte ormai da mesi. Non solo: il Pd sta confezionando le sue proposte per il Piano rinascita, sui contenuti e sulla governance (segno che prima non è stato fatto). Le regioni, ad esempio la Toscana, a loro volta stanno preparando i rispettivi dossier con le proposte. La domanda è perché tutto questo non è stato fatto prima. Almeno da agosto in poi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.