Il tema della transizione energetica, tematica sempre più presente ai giorni nostri in cui all’acquisto di un’automobile viene messa in calcolo anche la quantità di emissioni di co2, è una tematica perfetta per questo terzo episodio della nostra rubrica. Non credo Henry Ford si sarebbe mai immaginato questo giorno. Ma con il crescere dell’industria, e la diffusione di veicoli il mondo non è più quello di un tempo.

The Times They Are a-Changin’” canterebbe Bob Dylan. Provando a riprendere questo tema già trattato nella pubblicazione: “Meritare l’Europa il manifesto di Ponte di Legno a 3000 metri”, non dobbiamo farci prendere dall’idea di correre quando pensiamo alla transizione energetica e alla sua realizzazione, come quando si fà un business plan, un progetto d’impresa dobbiamo prima prendere in considerazione il framework, chi sono i vari player globali, le nazioni in gioco, qual’è l’attuale situazione del mercato nel nostro paese, quali sono le migliori azioni che potremmo compiere per far sì che questo cambiamento avvenga senza danneggiare chi vive nel settore che dovrà mettere questo cambiamento in atto. Molto spesso questo cambiamento viene preso sentimentalmente di petto, come una stoppata di pallone… si vuole un cambiamento immediato irreversibile senza pensare a cosa potrebbe provocare tutto ciò.

In un intervento alla scuola politica di Italia Viva a Ponte di Legno, l’ex Ministro della transizione ecologica nel governo Draghi Roberto Cingolani verte sull’analizzare con una visione globale l’argomento in questione. Partendo con un’introduzione sull’anidride carbonica per poi analizzare il landscape di cambiamento nei vari anni, le azioni che possono essere messe in campo per attuare un cambiamento. Sebbene il problema delle emissioni di co2 debba essere risolto da tutte le nazioni con azioni volte a una riduzione delle sue emissioni, bisogna tenere in considerazione come ognuna di loro abbia contribuito all’attuale problema, perché nazioni in via di sviluppo in cerca della convergenza con le nostre economie saranno meno propense a fare un passo indietro in quanto il problema è stato in via maggiore causato dai Paesi ricchi. Infatti i livelli di anidride carbonica nel corso degli anni sono sempre stati ciclici, ma con l’avvento delle rivoluzioni industriali e l’aumento della produzione globale sono aumentati… e con esso sono aumentate anche le temperature.

Nell’attuale situazione non bisogna fare un cambiamento drastico, ma bisogna dare alla società il tempo di abituarsi. Sebbene con l’avvento di auto elettriche si stia provando ad abbassare le emissioni, non è sufficiente dire che solo questo ci aiuterà a contenere un’innalzamento delle temperature al di sotto dei 2° celsius come previsto dall’accordo di Parigi sul clima. Ci vuole un ripensamento delle varie attività coinvolte, e una politica che agisca attivamente pensando a risolvere il problema. Prendendo in considerazione l’Italia, il 37% del PNRR dovrà essere destinato alla lotta al cambiamento climatico e il 20% ai temi digitali.

Esso è costruito su sei missioni principali: 1) Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo, 2) Rivoluzione verde e transizione ecologica, 3) Infrastrutture per la mobilità, 4) Istruzione, formazione, ricerca e cultura, 5) Equità sociale, di genere e territoriale, 6) Salute. L’Italia è tra i pochi Paesi europei ad avere già raggiunto gli obbiettivi 2020 sia su fonti rinnovabili che su efficienza energetica.

Syui punterà a raggiungere una maggiore sostenibilità nel lungo termine attraverso la decarbonizzazione di tutti i settori tramite un aumento dell’efficienza energetica di edifici pubblici e privati, con un incremento di penetrazione di rinnovabili, con lo sviluppo di mobilità sostenibile, con la produzione e l’utilizzo di idrogeno; e una piena sostenibilità ambientale a partire da una gestione di rifiuti e economia circolare, sviluppo di filiera agricola sostenibile, potenziamento isole verdi che copra a 360 gradi temi dalla carbonizzazione, miglioramento delle condizioni dell’aria e tutela della biodiversità. Avendo l’Italia un buon punto di partenza può puntare ad un ruolo di leader a livello europeo, e l’Europa può puntare a una leadership a livello mondiale. Con uno sguardo più attento a livello nazionale, possiamo osservare che ci sono già realtà regionali italiane che si fanno notare, come la Sardegna, il caso di Cagliari unica città italiana che era candidata nel 2023 ad essere “Capitale Verde d’Europa”. Attraverso uno sguardo più attivo verso la sostenibilità e la valorizzazione del patrimonio verde si può iniziare a vincere questi riconoscimenti, e ciò può avvicinarci a raggiungere gli obbiettivi previsti per mantenere l’aumento delle temperature, come previsto, al di sotto del 2 %, e raggiungere a livello di emissioni il net zero entro il 2050.

E’ un tema importante quello della sostenibilità, dello sviluppo sostenibile, sostenuto dal mondo cattolico, dal mondo laico, da politici, ambassadors, da noi giovani, da questa rubrica.. in cui proviamo a esporre, nonostante la complessità dell’argomento, in questo ordinato e a volte caotico complesso di parole saldate tra loro, questo grande tema. E come sempre attendiamo vostri consigli, riflessioni, idee sulla mail: “uncaffeinpiattaforma@gmail.com”.

Qual è il percorso dello sviluppo sostenibile, come siamo arrivati ad oggi?

Già dagli anni ‘70, del secolo scorso, del 900 per intenderci, le previsioni economiche avrebbero dovuto dare uno spunto tale da adottare azioni e provvedimenti per far fronte a tutto questo.. eppure siamo arrivati al 1987, per dare una definizione chiara di quello che era necessario fare, con il rapporto Bruntland, anche conosciuto come “Our Common Future”, redatto dalla commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Il nome venne dato dalla cordinatrice Gro Harlem Bruntland che diede in questo rapporto per la prima volta una definizione di sviluppo sostenibile, cioe: «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Questo percorso ci fà arrivare al 1999, con l’incontro del world economic forum, a davos, dove nasce il global compact, un’iniziativa volontaria lanciata dall’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan con l’obbiettivo di promuovere su scala globale la cultura della responsabilità sociale d’impresa dichiarando: “I call on you – individually through your firms, and collectively through your business associations, civil society, Institutions – to embrace support and enact a set of core values in the areas of human rights, labour standards, and environmental practices”. E quindi un invito a tutti i leader dell’economia mondiale a stringere un Patto Globale per supportare i nove principi universali(diventati 10 nel 2004) nell ambito dei diritti umani, dei diritti del lavoro, della tutela dell’ambiente per raggiungere gli obbiettivi delle Nazioni Unite.

Nel 2000 vengono poi definiti i Millennium Development Goals, MDGs. Dei goals pensati soprattutto per i Paesi in via di sviluppo in cui i 193 Paesi membri dell’ONU, si sono impegnati a raggiungere per l’anno 2015, otto obbiettivi. 1)Sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo, 2) rendere universale la formazione primaria, 3) promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne, 4) ridurre la mortalità infantile, 5) ridurre la mortalità materna, 6) combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie, 7) garantire la sostenibilità ambientale, 8) sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. In questo lasso di tempo i progressi fatti verso il raggiungimento di questi obbiettivi “non sono stati uniformi. Alcuni paesi hanno raggiunto molti degli obiettivi, mentre altri non sono sulla buona strada per realizzare neanche uno qualsiasi.”(Obbietti di Sviluppo del Millennio- Wikipedia)

Arriviamo così, al 2015 e al COP21 che si è tenuto a Parigi, dove c’è stata una grossa presa di coscienza da parte del mondo cattolico con la sua enciclica “laudato sì”, dove si è affrontato il tema integralmente.. da un lato abbiamo i problemi ambientali, sociali, ed economici e dall’altro il tema dell’ecologia tanto che nel suo laudato si papa francesco scrive: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.” Ben si sposava con l’intenzione del direttore generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, su una direzione da intraprendere, o affrontare in maniera dettagliata il problema o andare verso il declino. E’ quindi stata approvata il 25 settembre del 2015 l’agenta 2030 sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Che ingloba i 17 Sustainable Development Goals, SDGs, Obbiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, in un programma di azione che guiderà il mondo fino al loro raggiungimento nel 2030 come prefissato. L’accordo di Parigi, che stabilisce un piano di azioni per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici.

Qual è la situazione del nostro Paese, del nostro territorio relativamente a sostenibilità e il suo sviluppo nel corso degli anni?
Emerge un quadro positivo rispetto a 10 anni prima analizzando complessivamente gli indicatori di sviluppo sostenibile al 2019 – come scrive il sole 24 ore. Prendendo in considerazione i temi energetici l’Italia è per il sesto anno consecutivo, tra i Paesi Ue che superano il target assegnato dagli obiettivi del piano europeo 20-20-20.
Guardando i dati storici relativi a emissioni di gas a effetto serra tra il 1990 e il 2018 le emissioni si sono ridotte del 17%. La strategia italiana di lungo termine di riduzione sulle emissioni di gas a effetto serra partendo con una premessa ovvero che: “Posto dunque che il mero “trascinamento” delle tendenze attuali, per quanto virtuoso, sarebbe insufficiente a centrare il target di neutralità climatica al 2050, è necessario prevedere un vero e proprio cambio del “paradigma energetico italiano” che, inevitabilmente, passa per investimenti/scelte che incidono sulle tecnologie da applicare, sulle infrastrutture ma anche sugli stili di vita dei cittadini.” per il suo percorso di decarbonizzazione,

Prevede che ci siano tre ordini di premesse per parlare dello scenario di decarbonizzazione:

1) la chiusura completa del “gap emissivo” può essere raggiunta mediante diverse opzioni, anche cumulabili tra loro;
2) i percorsi tracciati restituiscono, da un lato, alcune condizioni di fondo che tendenzialmente devono essere rispettate per arrivare alla neutralità climatica e, dall’altro, una serie di criticità – tecniche, operative, economiche, sociali – che devono essere affrontate;
3) si assume che sia possibile contemperare le esigenze di forte sviluppo delle fonti rinnovabili con altri obiettivi di natura ambientale e paesaggistica.

Una prima importante sfida riguarda la domanda di energia, infatti i consumi dovrebbero scendere del 40% rispetto a quelli attuali. Una parte di questa riduzione, come si evince dal report, è già incorporata nello scenario di riferimento in seguito alle tendenze innescate dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), – in piena coerenza con il principio europeo “Energy Efficiency First”- . Bisognerà concentrare gli sforzi nel settore residenziale/commerciale e dei trasporti. Fare una riqualificazione degli immobili, cambiare il modo di spostarsi.
La popolazione italiana attuale è composta da circa 60 milioni di abitanti, ma questo dato dovrebbe subire una flessione negativa verso il 2050 portandoci ad un numero inferiore ai 60 milioni come previsto da un grafico presente nel report del MITE(Ministero Transizione Ecologica), e ad un leggero incremento del numero di famiglie. Ovvero la domanda per servizio energia del settore residenziale, prodotti agrozootecnici e trasporti. Bisognerà trasformare in questa ottica di analisi anche l’offerta energetica per poter raggiungere gli obbiettivi previsti.
Anche il settore non energetico contribuisce in qualche misura ad aumentare la quantità di co2, e rappresenta anche una delle parti più difficilmente comprimibile.
Quando pensiamo a chi ha causato la crisi climatica ci vengono in mente, ci immaginiamo, le aziende dei combustibili fossili, ma messe insieme anche l’agricoltura e lo sfruttamento del suolo contribuiscono ad aumentare il totale delle emissioni.

Quindi il tema della transizione energetica, non è un qualcosa di semplice da trattare, anche perchè bisogna cambiare il modo in cui la maggior parte dell’energia che utilizziamo, dei prodotti che mangiamo, che utilizziamo vengono prodotti e questo deve coinvolgere l’intera popolazione non solo italiana, ma globale. Nonostante le varie manifestazioni climatiche fatte, sembra quasi non venga mai fatto abbastanza, ma trattandosi di un tema complicato, e lo è, bisogna contemporaneamente tenere in considerazione le tante variabili in gioco sperando di raggiungere gli obbiettivi di contenimento entro il 2030, 2050.

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Matteo Cocco, classe 1995, ispettore controllo qualità, con esperienza in progetti oil & gas, e renewables.