Si è insediata questa settimana a via Arenula, nella prestigiosa sala intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e con tutti gli onori del caso, la Commissione ministeriale che dovrà riscrivere il codice di procedura penale. Un compito da far tremare i polsi dal momento che tutti coloro che in passato hanno in qualche modo tentato di metter mano alle regole del processo penale, e quindi all’attività dei pm, non hanno fatto una bella fine.

Senza scomodare sempre Silvio Berlusconi che con le toghe ha battagliato trent’anni e ogni volta che cercava di realizzare qualche riforma in materia di giustizia veniva accusato di legiferare “ad personam”, una citazione la merita sicuramente Clemente Mastella, indimenticato Guardasigilli del governo Prodi Due che, sarà stato sicuramente un caso, appena decise di mettere mano alla riscrittura delle regole processuali, patì l’arresto della moglie, poi scagionata da tutte le accuse. L’episodio determinò la caduta del governo e tutte le ipotizzate riforme in materia di giustizia finirono in un cassetto.

Nordio, fiducioso delle sue possibilità e sperando in un clima diverso, ha deciso di riprovarci ed ha nominato una super task force presieduta dal suo capo dell’Ufficio legislativo, l’ex pg della Corte d’appello di Roma Antonello Mura. “L’indirizzo deve essere chiaro: portare a compimento l’opera di Vassalli”, ha esordito Nordio durante la cerimonia di insediamento della Commissione, riferendosi dunque al giurista Giuliano Vassalli, medaglia d’oro della Resistenza e padre dell’attuale codice di procedura penale. Il codice penale, scritto durante il Ventennio fascista, ha ricordato Nordio, svolge ancora in maniera egregia il proprio compito, il codice di procedura penale, scritto invece nel 1989, non è “mai decollato”, ed è stato in questi decenni “completamente snaturato” anche da interventi della Consulta. Serve allora – ha proseguito Nordio – attuare i principi ispiratori di questo codice che ha introdotto nell’ordinamento italiano il rito accusatorio, purtroppo incompatibile con la Costituzione nella parte in cui prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. “Un principio su cui non si può transigere è l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, sia del giudice e del pm”, ha puntualizzato subito il ministro, tranquillizzando chi temeva un’invasione del governo nell’attività giudiziaria. Le linee guida a cui si atterrano i commissari saranno essenzialmente la revisione della formazione della prova e lo snellimento delle procedure, senza far venir meno le garanzie per gli imputati. L’obiettivo finale, come ha quindi ricordato Mura, “dovrà essere la qualità della giurisdizione”.

Analizzando i componenti della Commissione sulla riforma del processo penale, la prima cosa che balza all’occhio è la presenza di tantissimi magistrati. Scorrendo i quarantadue nomi che la compongono, trenta sono infatti di magistrati, di cui ben dieci in servizio presso l’ufficio legislativo di via Arenula. Una sproporzione se si considera quanto affermato da Nordio in tema di garanzie e di diritto di difesa. Fra i non togati si segnala il presidente ed il segretario delle Camere penali, un rappresentante del Consiglio nazionale forense, quattro professori universitari, e la segretaria particolare di Nordio. Nella compagine universitaria spicca il nome di Paola Balducci, docente di esecuzione penale alla Luiss, che si occuperà di cooperazione internazionale, responsabilità degli atti e – soprattutto – misure di prevenzione, argomento quanto mai incandescente.

Balducci era stata in passato componente del Consiglio superiore della magistratura durante la consiliatura nella quale Luca Palamara, ex presidente dell’Anm, spadroneggiava senza freni, pilotando nomine, aggiustando processi disciplinari, distribuendo incarichi a prescindere del merito. La professoressa, a causa di Palamara, era successivamente finita fra le persone informate dei fatti nel processo di Perugia per corruzione a carico di quest’ultimo. Il suo nome era stato fatto dal giudice calabrese Massimo Forciniti, anch’egli all’epoca componente del Csm. Interrogato dai pm di Perugia ad ottobre del 2019, a Forciniti venne fatto leggere un messaggio indirizzato proprio a Palamara in cui – un paio di settimane prima di lasciare l’incarico a Palazzo dei Marescialli – il magistrato avevo voluto togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

Grazie al tuo avallo, in questa consiliatura molte cose sono state decise da vicepresidente cerchio magico, non nelle sedi opportune…”. Forciniti, pur essendo passato poco più di un anno da quel messaggio, non ricordava quale fosse stata l’occasione per cui l’aveva scritto. “Posso dire che avevo l’impressione che Palamara, assiemare al vicepresidente (Giovanni Legnini, ndr) e ad altri consiglieri, laici e togati, cercassero di orientare l’attività del Consiglio superiore”, aveva cercato di rispondere Forciniti, elencando i nomi dei componenti del ‘cerchio magico’.
“Ritenevo – aveva aggiunto – che tali componenti del Consiglio avessero un canale privilegiato nei loro rapporti, anticipando il loro orientamento su varie pratiche da approvare in Consiglio”. “Credo che Palamara, Legnini e Balducci avessero un’assidua frequentazione, anche dopo il termine dei lavori consiliari”, aveva infine sottolineato Forciniti, precisando di essere anche stato “alcune volte a cena a casa della Balducci, che era persona gradevole e gentile con cui ho condiviso proficuamente il lavoro in Commissione”. Non resta che augurarsi che sia ‘proficuo’ anche il lavoro della Commissione Nordio sulla tanto attesa riforma del processo penale.

Paolo Pandolfini

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