Quando un genio scrive un libro su un altro genio, quel libro non si può non leggerlo. È il caso di “Processi – Su Franz Kafka” che esce per Adelphi (a cura di Susanne Lüdermann e Kristian Wachinger, trad. di Renata Colorni e Ada Vigliani), squisita riflessione del filosofo-letterato svizzero sul grandissimo romanziere praghese di cui il 3 giugno è caduto il centenario della morte, occasione per una valanga di saggi su di lui.

Certo questi appunti di Canetti sono difficilmente superabili. Per tutta la vita l’autore di “Autodafè” ha scritto pensieri su Kafka, centinaia di appunti, qualche testo più organico: in questo volume c’è praticamente tutto il corpo a corpo tra questi grandi scrittori oltre a un mare di ragionamenti su tutti i grandi della letteratura europea (ci scappa anche un Thomas Mannnoioso”!). «Degli scrittori “viventi” – scriveva Canetti nel 1947 – è l’unico che mi tocca davvero nell’intimo, che ammiro come uno degli antichi. Ho la sensazione che sia uno degli scrittori “viventi” non solo perché adesso avrebbe solo sessantaquattro anni ma perché egli è, in tutto e per tutto, parte di questo nostro mondo e sempre più lo sarà, o per meglio dire il mondo sarà come lui». Questa è già una riflessione profondissima su Kafka: «Il mondo sarà come lui».

Voleva dire qui in poche parole, il grande scrittore svizzero, quello che poi svilupperà lungo tutta la vita e che comprendiamo bene in una conferenza su Proust, Joyce e appunto Kafka, i tre vertici della letteratura novecentesca, quando Canetti spiega che Proust fu una specie di scienziato del passato, Joyce un entomologo dell’attimo presente e Kafka un impossibile aggancio proteso verso ciò che deve ancora succedere.

Sta in questa impossibilità, che assume l’aspetto dell’angoscia, della punizione, del mistero, la difficoltà di “parlare di Kafka”, lo sgomento dinanzi alla sua opera: «Si può riflettere su Kafka, si può cercare di comprenderlo, ma questo è tutto. Per il resto è intangibile, il più puro fenomeno poetico del secolo, un’espressione di esso così perfetta che continuiamo di fatto anno avere nulla da dire», scriveva Canetti molti anni dopo, nel gennaio del 1969, quando sarà fulminato dalla pubblicazione del carteggio tra Franz e l’amata Felice Bauer.

L’impossibilità di parlare di Kafka è ovviamente un paradosso perché il pensatore svizzero non cesserà mai di scrivere sull’autore della “Metamorfosi”, la “summa” dell’irruzione dell’umiliazione nel romanzo contemporaneo, laddove è la famiglia di Gregor Samsa che ne fa realmente un insetto: geniale anticipazione di Freud e tutto ciò che verrà dopo. Geniale, come ogni riga di Franz Kafka, dai sublimi racconti ai grandi romanzi. Letti i quali, ha ragione Elias Canetti, predomina lo sgomento.