Giorgia Meloni fa sul serio. Almeno ci prova. E si candida, lei e il partito che presiede, a guidare l’Italia tra un anno. A prescindere se Fratelli d’Italia guiderà una coalizione o meno. Se tenterà questa sfida con Lega e Forza Italia oppure da sola. La Conferenza programmatica che per tre giorni, da ieri a domenica, è in corso al Mico di Milano, va quindi osservata e analizzata per quello che è: una sfida e un esame. Come dice Giorgia Meloni salendo sul palco per la relazione introduttiva, “siamo qui per dimostrare che noi (alle prossime politiche, ndr) ci faremo trovare pronti con proposte serie e persone giuste al posto giusto. Basta dirci che non abbiamo classe dirigente.

Come può dirlo una coalizione che ha avuto Roberto Speranza come ministro della Salute per gestire la pandemia e Luigi di Maio ministro degli Esteri a gestire la guerra? Mi pare che non siamo noi ad avere problemi di classe dirigente…”. Arrivano qui i primi applausi di una platea che conta almeno tremila persone. Tutte, a dir la verità, con quelle mascherine che tante volte Fratelli d’Italia avrebbe buttato al macero. Da mesi. Meloni abbandona l’immagine un po’ macchiettistica di quando – un paio di anni fa e un consenso che allora era meno della metà del 21% attuali – saliva sul palco per rivendicare “sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma, sono cristiana e sono italiana”, un concentrato di nazionalismo sovranista miope e asfittico.

La presidente di Fratelli d’Italia si presenta con una tailleur blu, doppio petto e bottoni dorati, scarpe basse – in controtendenza con il must delle donne in politica che sfoggiano tacchi a spillo – e una bandiera tricolore che poi appoggia accanto al leggio. Fratelli d’Italia, dice, “vuol fare sul serio ed è “pronta a ricostruire un paese sulla macerie di una globalizzazione fallita”. La Conferenza programmatica ha un claim programmatico: “Liberare energia” (“basta con l’incapacità degli ultimi governi che dalla patria del fare ci hanno ridotto alla patria del no”) e ha tre parole chiave: “Libertà, indipendenza, crescita”. Il declino, dice, “è una scelta e non un destino”. Parla per quasi un’ora Giorgia Meloni, la prima fila della platea è destinata ai big del suo partito – Crosetto, La Russa, Lollobrigida – ma si dice che “molte saranno le personalità che, pur non arrivando dalla nostra tradizione, siamo pronti a coinvolgere”.

Rifondare il paese è “un compito per patrioti” perchè “la patria è la prima delle madri”. E guardando all’Ucraina, “dove si decidono i nostri equilibri futuri, mi sono chiesta perchè le madri ucraine hanno messo in salvo i figli nei corridoi umanitari e sono tornate indietro a combattere rischiando di lasciarli orfani. Perchè la patria è la prima delle madri, per questo la chiamiamo madre patria. Questo un patriota lo capisce, per noi è normale. Invece è normale che non lo capisca la sinistra, chi non crede nella parola patria”. C’è un filo rosso che guida tutto l’intervento di Meloni: smantellare pezzo dopo pezzo quanto sta facendo il governo Draghi. Per la leader di Fratelli d’Italia sa bene che se questo governo, dei migliori o meno, riesce a portare in fondo gli obiettivi di ripartenza, modernizzazione, efficienza, semplificazione, transizione ambientale e digitale – che sono gli obiettivi del Pnrr – sarà difficile tra un anno riuscire ad imporre la propria leadership. Da qui la fretta e il tempismo che può sembrare anche azzardato, nel proporre ora, in questo momento così incerto e difficile, la propria agenda.

“Sono tre – dice – le grandi parole d’ordine del nostro progetto: libertà, crescita e indipendenza. La libertà bussa prepotentemente alla nostra porta, lo vediamo con un popolo (gli ucraini, ndr) che sta lottando per non cedere un mattone della sua libertà, ma lo vediamo anche da noi dove i diritti sono andati comprimendosi e vengono elargiti come una concessione. Il secondo imperativo è la crescita che coniuga lavoro, responsabilità delle imprese e diritti in cui gli ultimi non vengono abbandonati e il perno rimane la famiglia, l’energia che tutto genera. Se noi vogliamo che l’Italia torni a essere una grande nazione, siamo noi italiani a dover crescere. È il tempo del necessario ritorno al reale”. Per fare questo occorre, ovviamente, cominciare dall’Europa “non più serva ma autonoma”. “Siamo molto più europeisti noi – aggiunge incalzata dagli applausi – di tanti soloni di Bruxelles”. La riduzione negli anni delle spese militari “significa che l’Europa ha deciso di farsi difendere dagli Stati Uniti e dalla Nato. Questo è sbagliato perchè noi non vogliamo essere servi né della Cina né di Washington”.

Non salva nulla di questa Europa. Meno che mai il Pnrr i cui obiettivi “adesso vanno riconvertiti non alla transizione ecologica, almeno non solo a quella, ma a combattere la crisi”. Su molti aspetti Meloni ha ragione, certe battaglie sulle quote latte o sui cibi doc sono state sbagliate e inutili. Così come nulla è stato fatto veramente per gestire i flussi migratori. Però sorprende che la leader di Fratelli d’Italia non dica una parola, ad esempio, sulla modifica dei Trattati e della regola dogmatica dell’unanimità delle decisioni, che, come sappiamo, blocca ogni decisione e fa sembrare l’Unione lenta ed inefficace. Una battaglia su questo sarebbe veramente la prova di volere più Europa e non meno Europa. Attacca, Meloni, i governi di questi ultimi vent’anni che ci hanno legato mani e piedi all’import di materia prime. Ma la destra italiana, di cui lei è l’erede, e lei stessa che ha governato negli esecutivi di centrodestra ha mai fatto battaglie primarie sul mix energetico. Tutte questioni su cui molti oggi salgono in cattedra dimenticano l’indifferenza degli anni passati.

La pandemia e la guerra stanno cambiando agenda e priorità. Ma quelle di Fratelli d’Italia sembrano, almeno dalla relazione introduttiva, quella di sempre. Le priorità strategiche sono “il made in Italy che va difeso con la golden power e non svenduto”; una politica industriale “orientata al rafforzamento del made in Italy”. È chiaro che la ricetta non può essere solo la flat tax o le infrastrutture la cui povertà anche a sinistra è considerata i problema. Al secondo punto Meloni propone “il ministero del mare”, un suo vecchio cavallo di battaglia il cui punto di forza, oltre a mettere in rete turismo, imprenditoria e porti, sembra essere la difesa dei balneari.

“Si, vi difenderemo, promette, dalla Bolkestein”. La terza priorità è il merito “perchè in questi anni uno vale uno ci ha devastati e ha portato al potere incompetenti”. Poi attacca l’utero in affitto, “una mostruosità perchè i bambini non ci comprano” e le teorie gender “un’altra mostruosità”. Un altro cavallo di battaglia è, neppure a dirlo, l’elezione diretta del Capo dello Stato. Insomma, c’è tutto l’armamentario della vecchia destra in questa prima giornata di lavori. La vera novità è che manca del tutto il centrodestra. Neppure una parola per Forza Italia. Meno che mai per la Lega. Berlusconi e Salvini non sono invitati. Vuol fare da sola Giorgia Meloni. Questa l’unica cosa chiara. E forse anche l’unica novità.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.