Dopo una serie di articoli su uno specifico paese dei Balcani, nell’articolo odierno viene messo in evidenza un tema che copre tutta la regione, con particolare riferimento a Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, ma anche Croazia. Il ruolo della Serbia in tutto questo è quello di responsabile principale, anche se non è stato il solo paese a commettere crimini di guerra.
Partiamo dai numeri: in Bosnia, secondo un censimento compiuto dalle Nazioni Unite, fino al 1994 si registrano: 187 fosse comuni, contenenti, ciascuna, dai 3.000 ai 5.000 cadaveri; 962 campi di prigionia, per un totale di circa mezzo milione di detenuti; 50.000 casi di tortura; 3.000 stupri. Alla fine della guerra, nel 1995, si contarono più di 100.000 civili uccisi, tra i quali 16.000 bambini, e oltre 2.000.000 di profughi.

Nel Kosovo, i civili uccisi furono più di 13.000, di cui circa 10.000 kosovaro-albanesi, 2.000 serbi e 500 tra rom, bosgnacchi e altre etnie; i dispersi furono migliaia, i profughi più di 250.000. In Croazia, la città di Vukovar venne distrutta in seguito all’occupazione serba durata tre mesi nel 1991: decine di migliaia di croati vennero sfollati e circa 260 di loro vennero arrestati e uccisi.
Con questi numeri spaventosi di vittime resta ancora la domanda: come ci si può avvicinare a questi fatti oggi? Gli atteggiamenti sono diversi, e purtroppo i crimini di guerra spesso e volentieri vengono ancora negati, il genocidio di Srebrenica altrettanto, e i criminali di guerra perfino glorificati come eroi nazionali. La glorificazione dei crimini di guerra non è altro che la precisa volontà di distorcere la storia, la negazione di essi cancella la storia. In Bosnia c’è anche un fattore che destabilizza ulteriormente, un sistema politico che divide in gruppi etnici e quindi di fatto aiuta la creazione e il rafforzamento di diverse narrative storiche. In Kosovo tale suddivisione non esiste, ma la propaganda serba fa di tutto per cancellare il ruolo negativo della Serbia in Kosovo.

Quello che in Unione europea non vogliamo capire, è che senza il riconoscimento dei crimini di guerra non ci potrà essere una vera riconciliazione. È anche per questo che il dialogo tra Kosovo e Serbia non è serio, perché non prende minimamente in considerazione il riconoscimento dei crimini commessi da parte della Serbia.
Ma non sono solo i serbi a negare l’evidenza ed il passato fattuale. Anche i croati usano certe argomentazioni a loro vantaggio. L‘Unione democratica croata della Bosnia Erzegovina (HDZ BiH), principale partito dei croato-bosniaci, non ha mai apertamente preso le distanze dagli ex leader dell’Herceg Bosna condannati in appello per crimini di guerra. Qui stiamo parlando di famiglie intere che hanno perso famigliari, di vicini di casa che si sono visti rubare le proprie proprietà e cacciare da un giorno all’altro da casa loro.

Dopo la lettura della sentenza di condanna a carico del sestetto dell’Herceg Bosna, emessa il 29 novembre 2017, il leader dell’HDZ BiH Dragan Čović aveva dichiarato che quella sentenza “è un crimine contro i croati di Bosnia Erzegovina” e che il Tribunale dell’Aja non è un tribunale di giustizia, bensì un tribunale politico. Sono proprio queste dichiarazioni che distruggono qualsiasi tentativo di riconciliazione; per poter esistere, ci deve essere prima anche un riconoscimento, e pentimento della parte che ha commesso quei crimini. Ci deve essere il perdono. E il perdono non può esistere se si continua ad aizzare e a sostenere di essere stati nel giusto, senza vedere quello che è davvero successo alle vittime.

Stessa cosa succede in Republika Srpska, ma anche in modo peggiore. Hanno creato controversie in Bosnia Erzegovina le pubblicazioni social di due studentesse della facoltà di Criminalistica di Sarajevo, Valentina Vujičić e Slađana Todić. Martedì 11 luglio 2023, nel giorno in cui si commemoravano gli oltre ottomila uomini e ragazzi bosgnacchi uccisi nel genocidio a Srebrenica, e si inumavano i corpi di altre trenta vittime riconosciute nello scorso anno, le due studentesse glorificavano Ratko Mladić, generale dell’esercito della Republika Srpska condannato all’ergastolo per genocidio.
La glorificazione dei criminali di guerra ha provocato aspre reazioni da parte della facoltà a Sarajevo, così come del Parlamento studentesco. Invece della richiesta espulsione, il preside della facoltà di Criminologia di Sarajevo, Jasmin Ahić, ha annunciato un procedimento disciplinare nei confronti delle studentesse. La procura di stato ha annunciato di aver aperto un fascicolo, dietro segnalazione del ministero degli Interni del cantone di Sarajevo. Secondo il codice penale bosniaco, il diniego dei crimini di guerra e l’esaltazione dei criminali di guerra sono proibiti, così come è proibito l’incitamento all’odio nazionale, razziale e religioso, alla discordia e all’intolleranza. Questo è stato cambiato solo dall’estate del 2022 e per via dell’imposizione della modifica da parte dell’allora Alto Rappresentante Inzko. Ma le due studentesse continueranno piuttosto la loro formazione nella capitale della Serbia, a Belgrado, dove la magistratura bosniaca non può arrivare. Hanno perfino ottenuto borse di studio dalla Serbia (che sembrano quasi un’approvazione, un riconoscimento). Ennesima dimostrazione di come la Serbia non solo cerchi di manipolare i fatti storici ma anche di premiare chi nega concretatemene la realtà e si adatta alla propria narrativa sbagliata.
Impossibile pensare di poter avanzare nella riconciliazione regionale, se prima i propri crimini di guerra non vengono riconosciuti, ed impossibile ottenere la serenità e la tarsformazione democratica sostenibile nella regione senza chiarire questo punto fondamentale.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.