Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha sottolineato, qualche giorno fa, che il pericolo terrorismo in Kosovo non solo non è ancora passato, ma è sempre più presente. Il primo ministro ha rivelato che Milan Radoicic, organizzatore dell’attacco terroristico a Banjska in settembre, starebbe infatti preparando un nuovo attacco; ci sono prove concrete che si starebbe incontrando di frequente con la BIA, le forze speciali serbe. Kurti ha detto che si sospetta che l’arsenale di armi sia in un albergo a Novi Pazar. Ha sottolineato il fatto che le armi sono simili a quelle usate nell’attacco terroristico di settembre.
Queste informazioni sono fatti concreti e sono spaventosi; se si pensa che l’attacco terroristico di settembre non ha avuto reazioni da parte dell’Unione europea, si può facilmente prevedere che, se dovesse riaccadere, le reazioni sarebbero simili, quindi non esistenti. Eppure, intanto il rischio cresce e il Kosovo si ritroverà in una situazione davvero pericolosa. Va detto però che la Germania ha mandato ulteriori truppe in Kosovo, e anche la NATO ha aumentato il contingente. Tuttavia, come si è già verificato nel caso dell’attacco terroristico in settembre, alla fine sarà il governo kosovaro a doversi difendere da solo.

Sarebbero necessarie misure preventive, soprattutto considerate le prove che Kurti ha prodotto. La Serbia dovrebbe essere costretta a mandare in Kosovo il criminale Milan Radoicic per poter essere processato; la Serbia dovrebbe essere obbligata a diminuire le tensioni e a rilasciare le informazioni fondamentali per capire qual è la connessione tra Serbia e attività criminali nel Nord del Kosovo. L’Unione europea dovrebbe finalmente usare il suo ruolo da garante e mediare seriamente; non come finora, che ha solo sostenuto la Serbia, rafforzando così indirettamente le attività sovversive.
Abbiamo bisogno, a livello europeo, di un ripensamento completo del dialogo tra Kosovo e Serbia; in primis, c’è bisogno di un discorso serio sui crimini di guerra commessi dalla Serbia e sul riconoscimento delle proprie atrocità. Certo ci sono state anche vittime civili serbe, ma i numeri non sono assolutamente paragonabili. Si potrebbe però cominciare a riconoscere anche questo, in modo tale da favorire un dialogo con l’obiettivo di una futura riconciliazione. Solo così si potrà cominciare un dialogo con una parvenza di normalità. Secondariamente, se la Serbia continua a rifiutare di implementare gli accordi già presi tra Kosovo e Serbia, dovrà essere sanzionata. Nonostante i tentativi di dialogo, pare che Vucic capisca solo le maniere forti; e finora l’unica parte ad essere sanzionata è stata il Kosovo (che tra il resto è ancora sotto sanzioni – sarebbe davvero arrivato il momento di toglierle).

Dobbiamo chiederci, come Unione europea, cosa vogliamo raggiungere nei prossimi mesi nei Balcani: stabilizzare la regione e dare una prospettiva europea seria a stati che se lo meritano e che stanno implementando le riforme necessarie, o continuare a premiare autocrati che aumentano il rischio di attacchi terroristici e non hanno la minima intenzione di piegarsi e di fare dei compromessi che potenzialmente portano benessere?
Le notizie che ha rivelato Albin Kurti non sono sorprendenti: il rischio di attacchi terroristici in Kosovo è presente, ma di certo non proviene dagli albanesi, quanto dai serbi, sostenuti dal governo serbo. Può l’Unione europea chiudere un occhio di fronte a quello che Vucic trama ed organizza per potersi „riprendere “il Kosovo? A mio avviso no, non può e non deve.
È quindi tempo per elaborare una strategia seria che tenga conto della situazione sul campo (e non solo dei racconti parziali) e che si occupi di proteggere il Kosovo e allo stesso tempo far capire alla Serbia che non è libera di usare qualsiasi mezzo e qualsiasi modalità per affrontare politicamente chi sta cercando di riformare il paese e davvero avvicinarsi all’Unione europea.
Il Kosovo è la chiave dei Balcani; spesso lo dimentichiamo, non vogliamo vedere, non vogliamo capire. Eppure, è lì che si è giocato tutto (dopo la Bosnia ed Erzegovina). È’ lì che Milosevic ha dovuto cedere, dopo i bombardamenti NATO contro la Serbia (necessari per mettere fine all’espulsione della popolazione civile kossovara). Abbandonare il Kosovo significa non impegnarsi seriamente con la regione; non possiamo permettercelo, come non possiamo permetterci di sostenere uno stato che va contro sia alla nostra politica estera comune sia ai nostri principi fondamentali, uno stato che ancora non riconosce il genocidio di Srebrenica e che non riconosce la nuova realtà del Kosovo come stato.

Se l’Unione europea fosse più coraggiosa, avrebbe già posto dei chiari limiti a Vucic e alla Serbia. Il non averlo ancora fatto, rischia di incoraggiare alcuni provocatori di provare nuovamente a prendersi il Kosovo con la forza. Vogliamo davvero assecondare nuova violenza etno-nazionalista? Non vogliamo invece capire che è ora di cambiare la nostra politica, mettere dei limiti seri alla Serbia e premiare invece il Kosovo, che sta lavorando alla sua trasformazione democratica?
Questa è la decisione che abbiamo di fronte, e che dovremo prendere prima delle elezioni europee, altrimenti rischiamo di arrivare in ritardo (come sempre, finora).
Per il 2024, mi auguro per il Kosovo di essere sereno, di avere più sostegno dall’Unione europea, e che le sanzioni vengano finalmente tolte. Per la Serbia, mi auguro che capisca come la democrazia sia la via migliore. Per l’Unione europea, mi auguro che cambi mediatori per il dialogo (o che ponga più peso nella mediazione).
Per tutti noi, mi auguro che non ci siano ulteriori attacchi terroristici in Kosovo (i Balcani non devono necessariamente essere “la polveriera dell’Europa”), ma dovessero essercene, mi auguro che saremo più reattivi e pronti.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.