Un secolo fa la popolazione mondiale era di circa 1,9 miliardi di persone. Oggi tutte le fonti di rilevazione statistica dei dati stimano come tale cifra abbia ampiamente superato gli 8 miliardi, con una crescita vertiginosa, pari a +106% nel solo ultimo mezzo secolo. Basterebbero questi numeri significativi per accreditare la demografia come scienza al servizio dell’uomo e come studio delle coordinate spazio-temporali dei flussi stanziali e migratori.

Gian Carlo Blangiardo – illustre demografo e professore emerito, nonché presidente dell’Istat dal 2019 al 2023 – ci consegna un compendio aggiornato (“Elementi di demografia”, Il Mulino) su questi temi, utile sia per la formazione a livello universitario che come strumento prezioso per quanti sono chiamati ad affrontare le principali questioni demografiche di cogente attualità. Competenza professionale e rigore scientifico sono alla base di questa pubblicazione che considera i pregressi, la dimensione analitica del presente e quelle di tipo deterministico e probabilistico delle previsioni demografiche: un valore aggiunto che la politica e la ricerca sociale dovrebbero perseguire, sottraendo dalle proprie valutazioni ricorrenti le tentazioni demagogiche e strumentali che troppo spesso condizionano gli orientamenti e le opinioni dell’immaginario collettivo.

Quanto sia utile e dirimente l’analisi demografica lo si riscontra ad esempio nello studio statistico e sociologico dei dati relativi alla fecondità e alle nascite in Italia dal secondo Dopoguerra ai giorni nostri, evidenziando come le macro tendenze siano inevitabilmente legate alla considerazione dei dati economici temporalmente tendenziali: dagli anni del baby-boom a quelli dell’inverno demografico nel libro di Blangiardo, sono infatti ricorrenti i temi della denatalità e delle “culle vuote” da tempo oggetto di rilevazioni dell’Istat. Il bilancio demografico del 2024 ha evidenziato – per il 12esimo anno consecutivo – un nuovo superamento al ribasso del record di nascite mai registrato in oltre 160 anni di unità nazionale, con una riduzione nell’ultimo decennio di circa un terzo dei nati. Eppure – scrive Blangiardo – la deriva numericamente negativa in atto non sembra sufficiente a suffragare l’ipotesi che si sia radicato nel tempo un fenomeno di disaffezione alla genitorialità. Il basso livello di fecondità non dipende soltanto dalle scelte di chi non ha avuto figli: l’Istat ha stimato che siano oltre 2milioni e 600mila le persone con figli che ne vorrebbero altri. Si tratta dell’11,6% della popolazione tra i 18 e i 49 anni, percentuale che sale al 22,8% tra 30-34 anni e si riposiziona al 18,3% tra i 35-39enni.

Altro fenomeno rilevante e attuale è quello delle migrazioni, inteso come cambiamento di dimora e visto nella duplice dimensione della distanza/direzione dei flussi e della struttura della popolazione migrante secondo caratteristiche biodemografiche, socioeconomiche e culturali. Si tratta di una deriva in atto con un potenziale incrementale largamente previsto, che introdurrà mutamenti significativi nei contesti territoriali e antropici di partenza e di destinazione.

Il prof Blangiardo pochi anni fa ha affermato: “La demografia di Paesi emergenti come Cina e India è segnata da dinamiche espansive partite anni fa, ma destinate ad esaurire gli effetti di crescita, specie per la Cina. Quest’ultima dovrebbe fermarsi attorno a 1,4 miliardi già dai prossimi anni, mentre l’India dovrebbe assestarsi attorno a 1,6 miliardi attorno alla metà del secolo. Quanto alla Nigeria, gli attuali 200 milioni di abitanti saliranno a 300 milioni tra meno di vent’anni e a 400 milioni alla metà del secolo. D’altra parte negli scenari mondiali la vera incognita resta l’Africa, in particolare quella sub sahariana, dove i segnali di rallentamento della fecondità e della crescita sono ancora modesti. È evidente che tutto ciò impone una revisione di alcuni equilibri sul piano della produzione, del consumo e della distribuzione delle risorse e delle persone nel panorama mondiale”. E aveva definito i flussi migratori un contributo per la società ospite e un vantaggio per i migranti, a patto che si realizzino forme di convivenza nel rispetto di regole e valori: “Perché ciò accada è importante che vi sia chiarezza sulle norme e che siano altresì condivisi i princìpi che definiscono diritti e doveri del vivere sociale. Il percorso di integrazione deve essere reso possibile a tutti gli immigrati, ma questo naturalmente richiede un dispendio di risorse che difficilmente sono compatibili con flussi di entità particolarmente rilevante. I numeri, ancora una volta, hanno una grande importanza. Mi piacerebbe che il dibattito, qualunque sia la posizione assunta, partisse da una base di conoscenze oggettive che spesso non vedo”. Oggi il vulnus più marcato, tra enfasi possibiliste e previsioni nefaste, sembra proprio questo.