L’Italia ha bisogno di strategie efficaci per rilanciare la crescita economica in un contesto di trasformazione del mercato del lavoro. Esperti e protagonisti del settore, ospiti de L’ora del Riformista, hanno analizzato il quadro italiano. Al panel – dal titolo Al lavoro per tornare a crescere, moderato da Aldo Torchiaro – hanno partecipato il direttore Claudio Velardi, Romano Benini (esperto del ministero del Lavoro e docente di Politiche pubbliche del lavoro), Fabio Scacciavillani (economista e asset manager), Serena Sileoni (giurista e già vicedirettore dell’Istituto Bruno Leoni), Chicco Testa (presidente di Assoambiente ed esperto di innovazione) e Mattia Pirulli (segretario confederale della Cisl).
Velardi si è soffermato sulla qualità del lavoro: al di là di numeri e percentuali, è chiaro che «l’occupazione non sia particolarmente qualificata». Ovvero non riguarda particolarmente quei settori innovativi che guardano al futuro. A rimetterci è il tasso di produttività: «Se questa occupazione è sempre più è dequalificata, tutto questo non porta alla crescita».

Benini ha mostrato ottimismo sulla situazione italiana: «I disoccupati sono passati da 2 milioni e 100 a 1 milione e 430mila in poco più di due anni». Ma se da una parte si assiste a un aumento della domanda di lavoro, dall’altra si fa fatica a trovare l’offerta: «Per via dell’andamento demografico, dobbiamo considerare questa spinta favorevole come un fenomeno positivo. Innanzitutto bisogna attivare gli inattivi». Per Pirulli non si può continuare ad affermare che in Italia il lavoro sia precario: «Continuano a calare i tempi determinati, continuano ad aumentare i tempi indeterminati». La vera sfida restano gli inattivi, a partire dalla platea delle donne: «Se consideriamo il fatto che una donna su cinque lascia lavoro in caso di maternità, abbiamo un primo elemento su cui dobbiamo costruire delle politiche di sostegno».

Sileoni ha puntato l’attenzione sulla correlazione tra il fenomeno inattivo e il sistema di istruzione molto problematico nel ciclo primario e secondario, che a sua volta si riversa nelle università: «Non faticherei a immaginare che la fascia dei 24-35enni intercetti anche un’ampia categoria di ragazzi che non riescono a collocarsi nel mercato del lavoro perché hanno avuto un percorso formativo e scolastico non adeguato alle loro inclinazioni. Spesso i giovani si ritrovano buttati a fare dei percorsi che non sono quelli adatti e rischiano di galleggiare per anni».

Testa lavora con aziende che hanno «disperato bisogno» di ingegneri e geometri, che però non si trovano. Perché queste persone si ritengono inadatte? A tal proposito ha lanciato un sospetto malizioso: «Non è che dietro c’è anche il fatto che comunque le strutture familiari italiane, le eredità e le rendite consentono a un sacco di persone di sopravvivere anche senza lavorare?». Poi ha annotato che i mercati nazionali sono diventati troppo stretti e si è focalizzato sull’importanza della deregolamentazione: «Fare impresa in Italia e in Europa è un mestiere da eroi, aprire un’impresa è un mestiere complicato». Per Scacciavillani invece, in un anno, gli inattivi sono cresciuti tanto quanto gli occupati: «Quindi, in termini percentuali, crescono più del doppio rispetto ai nuovi posti di lavoro. Ecco perché i dati sull’occupazione sono così positivi. È un effetto ottico, una distorsione». E ha puntato il dito contro la cultura diffusa nella politica e nella burocrazia avversa all’imprenditore: «La percezione è quella di un delinquente. La gabbia di regole è tesa a impedire qualsiasi cosa alle aziende e ai professionisti. Chi è che investe in una situazione del genere? Nessuno».