30 anni di stagno. Secondo il rapporto condotto dall’Inapp, l’Istituto per le Analisi delle Politiche Pubbliche, presentato recentemente a Montecitorio, i salari in Italia non crescono da tre decenni, registrando un incremento solo dell’1%, in netto contrasto con il 32,5% stimato in media nell’area OCSE. In termini reali il calo dei salari è del 4.8% soltanto nel 2020 e sebbene il tasso di occupazione ad ottobre sia salito al 61,8%, raggiungendo un record (col il 54% delle imprese che ha assunto nuovo personale dipendente, anche se l’utilizzo degli incentivi per le assunzioni è risultato basso, con solo il 14% delle stesse che ha adottato misure incentivanti previste dallo Stato), persistono gravi criticità strutturali, primo fra tutti quello anagrafico, e in secondo luogo quello della scarsa produttività.

Il mancato turnover e la great resignation

Alta problema, quello dell’età anagrafica. Nella Pubblica Amministrazione, si contano quattro lavoratori adulti-anziani per ogni giovane compreso tra 19 e 39 anni e considerando anche il privato ogni 1000 lavoratori giovani ce ne sono quasi 2000 over 40. Sul rendimento degli stessi invece a partire dalla metà degli anni novanta il divario rispetto ai Paesi del G7 nel 2021 è del del 25,5%. Un problema, che si collega anche alla cosiddetta “great resignation”, le “grandi dimissioni”, che ha interessato il 14,6% degli occupati, con una percentuale maggiore tra coloro che hanno un diploma.

Il commento di Marina Calderone

A margine della presentazione, il Ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha riconosciuto la presenza di problemi strutturali a lungo termine e ha indicato il Sistema Informativo di Inclusione Sociale e Lavorativa come una soluzione potenziale per migliorare l’accesso al mercato del lavoro, sottolineando l’importanza di puntare su lavori di qualità: “Il Rapporto dell’Inapp rappresenta un’occasione importante per fare una valutazione sui risultati e sull’efficacia delle politiche del lavoro adottate fin qui. La tempestività è un valore sia per chi deve interpretare in reale sia per chi deve incidere sulla realtà per migliorarla – ha spiegato -. Ci troviamo di fronte a problemi strutturali di lunga data. Conoscere le criticità, cogliere i segnali che possono aiutare a fronteggiare nel presente i problemi che si affacciano è di stimolo al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro”.

Altro problema resta quello della formazione continua. I livelli di partecipazione rimangono bassi, con solo il 9,6% della popolazione adulta coinvolta in attività di istruzione e formazione nel 2022, rispetto all’11,9% in Europa: “Il nostro obiettivo – ricorda il Ministro -, non deve essere solo la quantità di occupazione o l’entità della retribuzione ma la qualità e la dignità del lavoro da conseguire attraverso politiche attive, mirate alla formazione e alla creazione di nuove competenze. Credo molto nelle potenzialità del nuovo sistema informativo di inclusione sociale e lavorativa, che deve diventare una porta di accesso al mercato del lavoro capace di incrociare l’identikit di potenziali lavoratori, le banche dati e le richieste delle imprese. Dobbiamo puntare a un lavoro di qualità. Il buon lavoro deve essere un obiettivo comune di tutta la società italiana da perseguire con serietà, senza pregiudizi”.

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