Riforma giustizia, di cosa dovrebbero parlare Meloni, Tajani e Salvini
Interpretare comportamenti legali come reati, il fascicolo virtuale e il fascicolo clonato: così l’indagine non muore mai
Aspettando Godot, regole certe sui tempi delle indagini (e senza i “salvo che”)
Riconosciamo alla premier la buona volontà quando aff erma che le riforme sulla giustizia vanno fatte, restiamo in attesa della separazione delle carriere e che i magistrati decidano da soli di de-politicizzarsi
La buona volontà c’è. C’è nelle parole di Giorgia Meloni quando si pone al fianco del suo ministro che qualcuno vorrebbe sbattere in galera per almeno sei anni, e c’è quando lei stessa dice senza timore che le riforme sulla giustizia vanno fatte, soprattutto la separazione delle carriere. Assoluta buona fede, questo è certo. Anche nel non vedere, perché molte particelle sono ancora nascoste sotto il tappeto, le tradizioni di una cultura di partito non ancora del tutto abituata a virare dal giustizialismo al garantismo.
Se spostiamo poi lo sguardo dalla premier al suo ministro degli esteri, possiamo coniugare la buona volontà anche con le lettere maiuscole. Nessun problema per Antonio Tajani nel giudicare negativamente la richiesta di sei anni di carcere del tribunale nei confronti di Matteo Salvini, “che ha fatto il suo dovere”. E molte parole spese sulla necessità di rendere più “neutrale” il magistrato, proprio come il poliziotto o il finanziere. E toglierli tutti quanti dalla politica, per renderli più autorevoli. Ma siamo sul palco di Confindustria e forse qualcosa di più specifico, per esempio sul perché certe iniziative della magistratura troppo spesso scoraggino i potenziali investitori stranieri, andrebbe aggiunto.
Il discorso non fatto sui versamenti alle liste elettorali
Forse molti imprenditori per esempio potrebbero domandarsi perché il loro collega Aldo Spinelli di Genova, cui finalmente, ma solo in sede di patteggiamento, la stessa procura della repubblica ha dovuto riconoscere correttezza di comportamento nel rinnovo del contratto del Rinfuse, sia stato costretto a un accordo e ad accettare una condanna solo perché aveva effettuato versamenti a liste elettorali, pur se secondo le regole. Davanti a un pubblico di imprenditori qualche esponente del governo e della politica questo discorso sul finanziamento dei partiti avrebbe potuto farlo. Forse più di quelli sulla sicurezza, che sono importanti, ma che riguardano più la vita nelle strade che non quella dell’economia del paese. È vero che nelle grandi città, e a Milano in particolare, non ci si sente molto tranquilli, soprattutto la notte. Ma è ancor più vero che certi problemi di ordine sociale, a partire da quello dell’immigrazione, non si risolvono con l’inasprimento delle pene (che statisticamente non ha mai fatto diminuire i reati) e men che meno con la creazione di nuove fattispecie, come quella dell’omicidio nautico, soprattutto dopo il fallimento del reato di omicidio stradale.
Interpretare come reati comportamenti legali
Ma, se davvero, come è sicuramente intenzione del governo e anche della maggioranza parlamentare e soprattutto di Forza Italia, si vuol dare una svolta riformatrice sulla giustizia, bisogna cominciare a ritrovare l’orgoglio della politica, prima di tutto. L’ex governatore della Liguria Giovanni Toti l’ha capito molto bene sulla propria pelle. E i magistrati, forti del fatto che a Genova avevano manifestato solo quelli che invocavano forche contro un detenuto, per quanto domiciliare, ma non si erano visti gli altri, quelli che avrebbero dovuto tutelare i suoi diritti, glielo hanno spiegato dritto in faccia. Se un partito o una lista elettorale che fanno capo a un pubblico amministratore riceve il finanziamento da un imprenditore, quel personaggio pubblico avrà le mani legate. E qualunque decisione prenda in seguito, che abbia a che fare con quell’imprenditore per noi sarà reato. Che cosa è quindi questa figura della “corruzione impropria” o “atipica” se non l’interpretazione malevola di un comportamento legale? Sembrano sfumature, ma ci sono leggi che consentono a procuratori e giudici di interpretare come reati anche comportamenti del tutto legali. Si possono modificare, queste leggi, o aspettiamo la prossima vittima?
Il fascicolo virtuale e il fascicolo clonato: così l’indagine non muore mai
Tempo fa il ministro Carlo Nordio, che evidentemente conosce tutti i trucchi del mestiere, avendo svolto per 40 anni il ruolo di pubblico ministero, ha spiegato pubblicamente alcuni espedienti, come quelli del “fascicolo virtuale” e del “fascicolo clonato”. Uno serve a mantenere un’indagine all’infinito, tenendo aperto un pezzetto del fascicolo anche quando si è obbligati ad archiviare la parte principale. Succede tutti i giorni. C’è per esempio a Firenze un’inchiesta per strage che è una vera fisarmonica, e se non arriva un nuovo gelataio Baiardo, basta inserire una nuova imputazione, magari al generale Mori per ridare vita al fascicolo. La legge lo consente? Si, perché l’aggravante di mafia apre tutte le porte, senza limiti di tempo né di spazio. E, a proposito di mafia, qualcuno sa dire che fine ha fatto la parte dell’inchiesta di Genova in cui, proprio grazie a questo espediente dell’aggravante, si sono potute fare intercettazioni per tre anni e mezzo? E ora ci si dice che la corruzione non c’era neanche, ma intanto si è fatta crollare la giunta e qualcuno attende speranzoso il ribaltone politico?
Di cosa dovrebbero parlare Meloni, Tajani e Salvini
C’è la possibilità di porre rimedio, sì che c’è. In attesa della separazione delle carriere, in attesa che i magistrati decidano da soli di de-politicizzarsi, vediamo di porre regole certe e vincolanti per esempio sui tempi delle indagini, senza deroghe né “salvo che”. E denunciamo pubblicamente quello che facevano un tempo professori di sinistra come Luigi Ferrajoli e Magistratura Democratica, sull’uso del “tipo d’autore” nelle indagini che mettono nel mirino la persona e il suo ruolo in quanto tali e non i suoi comportamenti. Bisogna proprio aspettare la separazione delle carriere per denunciare, e poi porvi rimedio, il fatto che “prima” è stato intercettato Giovanni Toti, e “dopo” si sono scoperti gli eventuali reati? Sono solo due o tre ideuzze, di cui speriamo sentir parlare nei prossimi interventi pubblici Giorgia Meloni, Antonio Tajani, e magari anche lo stesso Matteo Salvini. Che non ha sequestrato nessuno, ma che troppo spesso non vede le pagliuzze negli occhi degli altri.
© Riproduzione riservata